
07 Nov VINO E PREVALENZA, MOLTI DUBBI DA CHIARIRE
Con la legge di orientamento (D.Lgs 228/2001) il richiamo all’“esercizio normale dell’agricoltura” è stato sostituito dal concetto di “prevalenza”. Una rivoluzione che ha fatto sì che in agricoltura potessero rientrare non solo quelle attività normalmente esercitate dall’imprenditore agricolo, ma tutte quelle attività connesse svolte utilizzando prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali.
L’importanza della prevalenza si evince dal tenore letterale del terzo comma dell’art. 2135 c.c. e il mancato rispetto di tale requisito, con la conseguente perdita dell’esercizio esclusivo delle attività agricole, potrebbe avere conseguenze gravissime non solo ai fini fiscali (si pensi alle società in opzione che potrebbero vedersi rideterminare il reddito a bilancio) ma anche relativamente ai rischi legati alla perdita della qualifica di IAP e di tutti i benefici ad essa connessi.
Siamo dunque al cospetto di un requisito fondamentale per il settore anche se, dopo oltre vent’anni dalla Legge di orientamento, sono ancora molti i dubbi interpretativi che non possono di certo essere risolti sulla base dei pochi e troppo datati chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate.
Il settore vitivinicolo è particolarmente interessato dalle criticità legate al rispetto della prevalenza, poiché molto spesso nel processo produttivo vengono coinvolti più esercizi nei quali il vino (che è già di per sé un prodotto trasformato) viene ulteriormente manipolato con l’aggiunta di prodotto di terzi.
Si pone dunque un duplice problema, da un lato occorre comprendere se queste ulteriori fasi di lavorazione possano essere ricondotte nell’ambito dell’attività agricola e, dall’altro, occorre individuare i criteri per misurare la prevalenza senza incorrere nella cosiddetta “moltiplicazione dell’agrarietà”. Non bisogna dimenticare, infatti, che la prevalenza va misurata con i prodotti ottenuti dall’attività agricola principale, conseguentemente i prodotti di terzi, seppur trasformati, non potranno aumentare la percentuale di prodotti propri.
Per quanto concerne il primo punto svolgerò alcune considerazioni in merito alla manipolazione del vino acquistato da terzi nei limiti della prevalenza, al fine di verificare se tale operazione possa rientrare nell’ambito delle attività agricole.
Come spesso accade, si registra un disallineamento fra l’interpretazione dell’art. 2135 c.c. offerta dalla Corte di Cassazione e i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate.
Con la Sentenza n. 4916/2021 i Giudici di Legittimità hanno stabilito che sono qualificabili come attività agricole connesse quelle che si esplicano sui prodotti che provengono “prevalentemente e direttamente dall’attività agricola principale …”: nel caso trattato veniva esclusa dalle attività agricole connesse la cessione di prodotti da forno (pane, pizza o piadina), in quanto derivanti dalla trasformazione della farina (prodotto già trasformato).
I principi espressi nella richiamata sentenza (recepiti anche dal TAR del Lazio nella nota sentenza n. 4916/2021) riconducono nell’ambito delle attività agricole connesse di cui all’art. 2135 c.c. le lavorazioni effettuate su prodotti ottenuti prevalentemente nello svolgimento delle attività agricole principali (coltivazione, allevamento silvicoltura), non essendo possibile estendere tale disciplina a prodotti già trasformati.
In senso contrario, ma con un’interpretazione in linea con l’evoluzione del mondo agricolo, si è espressa l’Agenzia delle Entrate che, con la nota del 12 gennaio 2009, ha ammesso che le operazioni di filtrazione del vino, poste in essere dall’imprenditore agricolo, possano qualificarsi come attività connesse, in quanto consistenti in una mera attività di manipolazione, anche quando hanno per oggetto vino acquistato per aumento della gamma.
I chiarimenti dell’A.E. anche se non fondati su solidissime basi logico giuridiche, sono indubbiamente apprezzabili, poiché denotano un’attenzione a quella che è l’evoluzione del mondo dell’agricoltura. Tuttavia, se la normativa civilistica non verrà adeguata, il rischio concreto è che prima o poi sia arrivi ad un corto circuito generale causato da disposizioni civilistiche non più adeguate all’evoluzione che negli anni ha subito il settore.
Non solo, l’apertura all’attività connessa per un miglioramento della gamma presuppone una riflessione anche per quanto concerne il calcolo della prevalenza, infatti, il vino derivante dall’attività agricola principale da considerare ai fini del calcolo dovrebbe essere epurato da quello prodotto con uve di terzi per non correre il rischio di una moltiplicazione incontrollata dell’agrarietà.