QUALE SORTE PER L’INQUADRAMENTO FISCALE DEL FOTOVOLTAICO?

di Vanni Fusconi, avvocato

e Massimiliano Mercuri, dottore commercialista

Con l’articolo 1, comma 423, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (c.d. Legge Finanziaria 2006) e successive modificazioni ed integrazioni, il legislatore nazionale ha inserito nell’ambito delle attività agricole connesse la produzione e la cessione di energia elettrica da fonte fotovoltaica.

Legge n. 266/2005, art. 1, comma 423: Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali, sino a 2.400.000 kWh anno, e fotovoltaiche, sino a 260.000 kWh anno, nonché di carburanti e prodotti chimici di origine agroforestale provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario. Per la produzione di energia, oltre i limiti suddetti, il reddito delle persone fisiche, delle società semplici e degli altri soggetti di cui all’articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è determinato, ai fini IRPEF ed IRES, applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, il coefficiente di redditività del 25 per cento, fatta salva l’opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari, previa comunicazione all’ufficio secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442.

Le ragioni che hanno generato un siffatto intervento normativo non sono di certo rinvenibili nella ricerca del più idoneo inquadramento civilistico e fiscale di tale attività, ma nella necessità di introdurre nel nostro ordinamento uno strumento fiscalmente incentivante per favorire e promuovere la produzione di energia.

Ecco allora che all’altare dell’immediato risultato economico si sacrifica l’“armonia” fra le leggi ma, con il trascorrere del tempo e del conseguente stratificarsi delle varie interpretazioni offerte dalla prassi e dalla giurisprudenza, ciò è in grado di generare veri e propri “cortocircuiti fiscali” che rendono impossibile una valutazione preventiva (necessaria al momento dell’investimento) delle conseguenze giuridiche della condotta del contribuente, in violazione al più basilari principi della certezza del diritto.

Non bisogna essere dei fini agronomi per capire che la produzione di energia da fonte fotovoltaica non può in alcun modo essere inserita fra le attività agricole principali che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2135 c.c. sono riconducibili alla “cura e allo sviluppo di un ciclo biologico di carattere vegetale o animale o ad una fase dello stesso”.

Infatti, lo svolgimento dell’attività di produzione di energia da fonte fotovoltaica non richiede la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico di prodotti di origine vegetale e animale, ma l’impiego di pannelli a celle di silicio alimentati a luce solare.

La produzione di energia non può dunque collocarsi nell’ambito della coltivazione del fondo, pertanto il legislatore ha necessariamente dovuto prevederne l’inserimento ope legis nell’ambito delle attività agricole connesse, ma non essendo intervenuto direttamente sul testo della disposizione del Codice Civile (ampliandone la casistica), è stato compito dell’interprete capire dove inserire la produzione fotovoltaica nell’ambito del terzo comma dell’art. 2135 c.c.

Art. 2135, terzo comma: Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge .

Questo è il punto nodale dell’intera vicenda, il dilemma che ha generato interpretazioni errate e che al momento è ben lungi dall’essere risolto, o meglio, è ben lontano dall’essere oggetto di un chiaro e definito orientamento interpretativo.

Ma procediamo per gradi, a nostro parere è apparso sin da subito molto complicato, se non impossibile, inserire il fotovoltaico nell’ambito delle attività connesse elencate nel Codice Civile.

Infatti la produzione di energia non può di certo essere inserita fra quelle attività dirette alla “manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli e zootecnici ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali” e neppure fra quelle dirette alla “fornitura di bei fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata”.

Per quanto concerne la prima categoria, non è necessario dilungarsi in spiegazioni: è evidente che l’energia termica generata dal sole non è un prodotto ottenuto dalla coltivazione del fondo o dall’allevamento di animali.

Per quanto, invece, concerne la seconda tipologia, si potrebbe anche ipotizzare di inquadrare la produzione e cessione di energia fotovoltaica in termini di “fornitura di beni o servizi”; tuttavia, in questa ipotesi, considerando l’impianto fotovoltaico alla stregua di un’attrezzatura agricola, bisognerebbe necessariamente impiegarlo anche nell’attività agricola principale.

Ciò significa che per accedere in maniera credibile ad una siffatta interpretazione bisognerebbe che l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici fosse utilizzata prevalentemente per l’autoconsumo dell’azienda agricola. Circostanza quest’ultima che mal si concilia con le finalità del legislatore tese, come detto, a promuovere la vendita dell’energia e non certo l’autoconsumo interno.

Le considerazioni di cui sopra ci hanno spinto necessariamente ad aderire a quell’orientamento dottrinale che considera l’art. 2135 come una norma “aperta”, nel senso che consente la possibilità di ampliare il novero delle attività suscettibili di connessione e potenzialmente assorbibili nell’ambito dell’agrarietà, inserendone all’interno di nuove, non contemplate né disciplinate nel terzo comma dell’art. 2135 c.c.

Ebbene, per molti anni le disquisizioni su quale posto dovesse avere il fotovoltaico nell’ambito dell’art. 2135 c.c. hanno preoccupato solo i pochi esperti del settore, poiché nel tentativo di risolvere (solo in apparenza) ogni problema creato da normative mal coordinate è intervenuta l’Agenzia con la circolare 32/E del 2009.

Il richiamato documento di prassi è stato accolto con grande entusiasmo, poiché fu chiaro, sin da subito, che si stavano dettando i confini fiscali di quello che, nei successivi dieci anni, avrebbe rappresentato una delle più importanti fonti di business legate al mondo dell’agricoltura.

L’entusiasmo iniziale ha fatto però passare in secondo piano un aspetto molto importante, consistente nel fatto che l’Amministrazione Finanziaria si è elevata al ruolo di legislatore intervenendo a colmare un evidente vuoto normativo con un documento di prassi.

L’Agenzia, accedendo all’interpretazione che vuole il fotovoltaico ricompreso nell’ambito delle attività connesse atipiche, ha dapprima chiarito la necessità dell’esistenza di un’attività agricola principale individuata nella presenza di un’azienda agricola con terreni coltivati, per poi individuare specifici criteri di “connessione” con l’attività agricola principale finalizzati a ricondurre i relativi redditi nell’ambito dell’art. 32 del TUIR:

  • la produzione di energia fotovoltaica derivante dai primi 200 KW di potenza nominale complessiva, si considera in ogni caso connessa all’attività agricola;
  • la produzione di energia eccedente la franchigia può essere considerata connessa nel caso sussista uno dei seguenti requisiti:

a) la produzione di energia fotovoltaica derivi da impianti integrati su fabbricati aziendali esistenti;

b) il volume d’affari derivante dall’attività agricola (esclusa la produzione di energia fotovoltaica) deve essere superiore al volume d’affari della produzione di energia fotovoltaica eccedente i 200 KW;

c) entro il limite di 1 MW per azienda, per ogni 10 KW di potenza installata eccedente il limite dei 200 KW, l’imprenditore deve dimostrare di detenere almeno un ettaro di terreno utilizzato per l’attività agricola.

Un intervento, come detto, atteso e necessario che non ci sentiamo di criticare, ma purtroppo mal coordinato con la normativa di riferimento. In sostanza, l’Agenzia non trovando alcun appiglio normativo per disciplinare i criteri di connessione con l’attività agricola principale ha necessariamente, ma arbitrariamente, utilizzato i parametri fissati dalla Legge n. 244 del 2007 (c.d. “Legge Finanziaria 2008”) per limitare le risorse pubbliche impiegate dallo Stato nel programma di incentivazione per la produzione di energia elettrica.

Non vi è dunque nessuna logica giuridica nella scelta dei criteri di connessione indicati nella circolare 32/E del 2009, se non l’esigenza di far fronte alla necessità di colmare un vuoto normativo al fine di dare il via al business della produzione di energia da fonti fotovoltaiche.

Un intento sicuramente lodevole, ma rischioso, poiché, come di frequente accade in questo paese, prima si dà alle imprese la possibilità di usufruire di grandi benefici, poi, una volta che il contribuente ha effettuato gli investimenti, iniziano le verifiche e gli accertamenti fiscali.

Ma procediamo per gradi. Come era prevedibile, dal 2009 è iniziata l’età dell’oro del fotovoltaico in agricoltura, incentivata anche da una disciplina fiscale che sembrava aver fissato in maniera chiara quali fossero i limiti per inquadrare il fotovoltaico in agricoltura.

Tutto sembrava chiaro, fino a quando la Corte costituzionale, su richiesta della Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento, con la sentenza n. 66 del 24 aprile 2015, si è espressa sull’inquadramento del fotovoltaico nell’ambito delle attività agricole connesse.

I giudici costituzionali, facendo giustamente riferimento alla legge, non hanno aderito alla tesi delle attività connesse atipiche ed hanno inquadrato la produzione di energia da fonte fotovoltaica nell’ambito del terzo comma dell’art. 2135 c.c. quale “fornitura di beni” e, al fine di rispettare il dettato civilistico che impone “l’utilizzazione di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata”, hanno individuato detta “risorsa” nel “fondo” che, come tale, deve risultare “normalmente impiegato nell’attività agricola esercitata”.

La “forzatura” di una simile interpretazione è evidente: il “fondo”, nell’impresa agricola, non è una “risorsa”, ma l’oggetto stesso dell’attività, quindi la Consulta per verificare il rispetto dei parametri di cui al terzo comma del 2135 c.c. non avrebbe dovuto prendere quale riferimento le “risorse”, bensì le “attrezzature” individuabili nei pannelli fotovoltaici.

Tuttavia, in questo caso non sarebbe mai stato rispettato il requisito della “normalità” poiché i pannelli sono impiegati esclusivamente nell’attività connessa di produzione di energia da fonte fotovoltaica.

Ancora una volta ci troviamo al cospetto di un tentativo di ricostruire a posteriori le motivazioni di un dato già acquisito (inquadramento del fotovoltaico in agricoltura) senza però una base normativa chiara.

Attualmente, quindi, ci troviamo di fronte a due interpretazioni: la prima offerta dall’Agenzia che vorrebbe ricondurre il fotovoltaico nell’ambito delle attività connesse atipiche dettando, quindi, in maniera arbitraria, i parametri di connessione e l’altra, fornita dalla Consulta, che inquadra la produzione di energia nell’ambito del terzo comma dell’art. 2135 c.c. considerando il terreno su cui è collocato l’impianto una “risorsa” normalmente impiegata nell’attività agricola principale.

Inizialmente, e come spesso accade nel nostro settore, la sentenza della Corte Costituzionale è passata in sordina, nel senso che ci si è limitati a dare risalto al fatto che la questione di illegittimità costituzionale dell’inquadramento del fotovoltaico in agricoltura fosse stata respinta, ma gli effetti che i principi ivi espressi avrebbero potuto avere sull’inquadramento fiscale del fotovoltaico in agricoltura sono stati trascurati.

Una scelta, forse, di opportunità, dettata dalla necessità di non sollevare problematiche potenzialmente devastanti, ma non bisogna essere dei fini giuristi per accorgersi che le diverse interpretazioni offerte dalla Consulta e dall’Agenzia destabilizzano l’inquadramento di una disciplina che non ha solide fondamenta normative.

Dopo quasi quindici anni dalla Finanziaria del 2006, al contribuente non è ancora dato conoscere quale sia il corretto inquadramento civilistico, e conseguentemente fiscale, della produzione di energia da fonte fotovoltaica.

Questa indeterminatezza non può di certo essere risolta richiamando i criteri di connessione di cui alla circolare 32/E del 2009, infatti si tratta pur sempre di chiarimenti ministeriali interpretabili con la stessa arbitrarietà con cui sono stati emanati.

A conferma di quanto detto, si evidenzia come alcuni uffici territoriali, sfruttando la tesi della Consulta e dimenticando la tesi delle “attività connesse atipiche”, abbiano cercato di disconoscere la connessione fra fotovoltaico ed attività agricola principale richiamando i chiarimenti forniti dalla circolare n. 44/E del 2004, in base alla quale “per rientrare fra le attività agricole connesse, l’attività di fornitura di servizi svolta dall’imprenditore agricolo non deve assumere per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane, la connotazione di attività principale.”.

Un’interpretazione, quest’ultima, errata e pretestuosa (l’onerosità dell’investimento sul fotovoltaico potrebbe facilmente comportare la violazione di siffatti parametri), ma in grado di rendere perfettamente l’idea di come l’indeterminatezza normativa possa dare origine a pericolose derive interpretative.

Le vicissitudini fiscali del fotovoltaico non sono di certo finite, in attesa che la Cassazione offra i primi orientamenti in merito all’inquadramento in agricoltura della produzione di energia da fonte fotovoltaica. Un compito non semplice, poiché sarà molto difficile legittimare i criteri di connessione dettati dalla circolare 32/E del 2009 senza contraddire quanto espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 66 del 24 aprile 2015.

Un esercizio interpretativo in cui l’Agenzia delle Entrate si è già cimentata, a dire il vero senza troppo successo, ma questo argomento che riguarda, in particolar modo, le società agricole in opzione (Risoluzione n. 86/E 2015 e la Risposta n. 33/2019), verrà affrontato nei nostri successivi approfondimenti.