PER LA CASSAZIONE LA SOCCIDA MONETIZZATA INIBISCE LA DETRAZIONE IN CAPO AL SOCCIDARIO

La possibilità di detrarre l’IVA in capo al soccidario in caso di soccida monetizzata è indubbiamente una delle problematiche che hanno maggiormente infervorato la dottrina e la giurisprudenza. Numerosi sono stati, infatti, gli accertamenti che hanno visto contrapposta l’amministrazione finanziaria e i contribuenti e solo negli ultimi anni si è consolidato un orientamento non proprio condivisibile della giurisprudenza di legittimità.

In caso di monetizzazione il soccidante cede l’intera quantità di animali e versa al soccidario una somma di denaro pari alla quota di accrescimento a lui spettante. Il Ministero, con la circolare n. 32 del 27 aprile 1973 e con la risoluzione 504929 del 7 dicembre 1973 ha chiarito che l’assegnazione degli animali al soccidante da parte del soccidario è una operazione esclusa da IVA. Tale interpretazione crea non pochi problemi ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto. Infatti, l’esclusione da IVA di tali operazioni ha indotto alcuni Uffici Territoriali a negare il diritto alla detrazione ed al rimborso dell’imposta assolta dal soccidario (ovviamente in regime normale IVA) per operazioni inerenti all’attività di allevamento in soccida. Ciò in virtù del fatto che l’art. 19 comma 2 del DPR 633/72 nega la detraibilità dell’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta.

Non ritengo condivisibile l’orientamento espresso dall’Amministrazione poiché precludere il diritto alla detrazione in capo al soccidario porterebbe all’aberrante conclusione di penalizzarlo in maniera del tutto ingiustificata visto che la qualifica di imprenditore ai fini IVA spetta ad entrambe i soggetti parte del rapporto associativo. Indipendentemente dalla scelta in ordine al riparto di fine ciclo il soccidario ha acquisito la qualifica di soggetto passivo di imposta in virtù dell’attività di allevamento svolta in soccida. Oltre a tali considerazioni si ricorda che il compenso percepito dal soccidario rappresenta l’equivalente in denaro a titolo di ripartizione dei frutti e configura di fatto una cessione di denaro che ai sensi di quanto previsto dall’art. 19 comma 3 consentirebbe la detrazione dell’IVA.

Purtroppo l’interpretazione di cui sopra, condivisa da autorevole dottrina, è stato sconfessata dalla Corte di Cassazione che, con un orientamento ormai consolidato, ha stabilito l’indetraibilità dell’IVA in capo al soccidario in caso di soccida monetizzata, poiché non si tratterebbe di una cessione di denaro ma bensì di una distribuzione di utili che in ogni caso non darebbe diritto ad alcuna detrazione dell’imposta.