
12 Mag LA MANIPOLAZIONE E LA TRASFORMAZIONE DEI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI
Nel mondo ortofrutticolo, le imprese agricole che intendono aumentare la propria produttività, integrando così il reddito e il profitto, spesso si avvalgono dei prodotti altrui per aumentare la gamma o la quantità dei propri prodotti agricoli.
Tutto il processo, che nasce dall’acquisto da terzi del prodotto “grezzo”, fino alla sua commercializzazione, si compone di una serie di operazioni propedeutiche ad ottenere un bene idoneo ad essere immesso sul mercato.
Soprattutto per quanto riguarda la frutta, essendo la stessa un prodotto della terra “difficile da trattare”, le fasi di lavorazione sono diverse e, molto spesso, oltre ad essere effettuate con macchinari industriali (es. macchine calibratrici), vengono svolte manualmente da operatori specializzati.
Definire in maniera chiara e precisa le operazioni effettuate sui prodotti ortofrutticoli assume primaria importanza dal punto di vista fiscale, infatti, come vedremo più dettagliatamente in seguito, la frutta acquistata da terzi in misura non prevalente può rientrare nella determinazione del reddito su base catastale solo se viene previamente sottoposta ad un processo di “manipolazione” o “trasformazione”.
Gli operatori del settore si sono interrogati per anni su quali lavorazioni possano effettivamente integrare il concetto di “manipolazione” e “trasformazione”, ma la scarsa prassi ministeriale sul punto ha creato, soprattutto per quanto concerne la “manipolazione”, interpretazioni a nostro parere eccessivamente superficiali, in grado di esporre le aziende agricole a rischi concreti di accertamento fiscale.
Con l’approfondimento in esame intendiamo offrire uno strumento utile al fine di definire in termini specifici per il comparto dell’ortofrutta i concetti di “manipolazione” e “trasformazione”.
Determinazione del reddito su base catastale
Ai sensi dell’art. 32 del TUIR, costituisce reddito agrario la parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione del soggetto che impiega i terreni stessi per l’”esercizio di attività agricole”. Tale reddito è determinato catastalmente, “mediante l’applicazione di tariffe d’estimo stabilite per ciascuna qualità e classe secondo le norme della legge catastale” (art. 34 del TUIR), con conseguente irrilevanza dei costi e ricavi specificamente connessi all’esercizio dell’agricoltura.
Il legislatore prevede che la tassazione su base catastale riguardi unicamente il reddito prodotto nei limiti della potenzialità del terreno, ovvero nei limiti della sua produttività. L’eccedenza è tassata, invece, come reddito d’impresa.
Dalla lettera dell’art. 32 cit., ai fini della qualificazione del reddito come “agrario” (e della conseguente tassazione su base catastale), è dirimente che lo stesso derivi al suo titolare dall’”esercizio di attività agricole”, così come definite dal medesimo art. 32 del TUIR. In proposito, il legislatore fiscale distingue tra attività “essenzialmente agrarie” (comma 2, lettere a) e b)) e attività (ad esse) “connesse” (lettera c)), le quali non hanno, di per sé, una connotazione agricola, ma ne assumono la forma – ai fini fiscali – solo in quanto supportano lo sviluppo dell’attività agricola principale.
L’attività agricola principale e le attività agricole connesse
Secondo la lettura della normativa di riferimento, le attività “essenzialmente agricole” sono quelle “dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura”, nonché “l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste”.
Con particolare riferimento alla coltivazione del fondo in linea generale, tale attività è costituita dal complesso di lavori necessari al conseguimento dei frutti della terra. Vi rientrano, pertanto, tutte quelle attività iniziali (quali la rottura del suolo e la preparazione del terreno), intermedie (volte a sorreggere e stimolare il processo produttivo agrario) e finali (la raccolta dei prodotti).
Ai sensi del comma 2, lett. c), dell’art. 32 del TUIR, “sono considerate attività agricole (…) le attività di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del codice civile dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali”. In sostanza, nella definizione di “attività connesse”, la disciplina fiscale rinvia a quella del codice civile.
A ben vedere, l’art. 1 del D.Lgs. n. 228 del 2001 ha modificato la nozione civilistica di imprenditore agricolo, aggiornandola all’intervenuta evoluzione dell’agricoltura (dal 1942 in poi), con specifico riferimento alla sua maggior vocazione al mercato (e alle relative regole). In particolare, oltre a talune rilevanti modifiche riferite alle attività agricole essenziali, le maggiori novità hanno riguardato il comma 3 dell’art. 2135 del codice civile e, dunque, la definizione (civilistica) di attività agricole “connesse”.
Art. 2135, comma 3: “Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.
Pertanto, quelle agricole “per connessione” sono attività che la legge qualifica come agricole allorché ricorrano le seguenti due condizioni:
- sono svolte da un soggetto che esercita, contemporaneamente, un’attività agricola principale (connessione soggettiva);
- l’attività potenzialmente connessa ha una coerenza interna con l’attività agricola principale (connessione oggettiva).
In altri termini, la relazione tra attività “essenziali” e “connesse” è tale per cui queste ultime tendono a supportare lo sviluppo dell’attività principale nei diversi momenti della produzione agricola, allo scopo di integrare il reddito e il profitto a cui tende l’imprenditore con l’esercizio dell’agricoltura tradizionale. In particolare, le attività “connesse” si collocano, generalmente, al termine del “ciclo biologico”, riguardando, in estrema sintesi: i) il mescolamento, rimestamento, inscatolamento, imballaggio ed etichettatura di un prodotto (manipolazione); ii) il successivo confezionamento e conservazione in magazzini o ambienti a temperatura controllata (conservazione); iii) la produzione di un prodotto attraverso il mutamento della qualità merceologica del frutto del terreno (trasformazione) e iv) la successiva vendita (commercializzazione e valorizzazione).
Il criterio della prevalenza.
Come sopra specificato, le attività “connesse” assumono dignità di attività agricole solo quando risultano strumentali allo sviluppo dell’attività principale di coltivazione del fondo, silvicoltura o allevamento di animali. L’imprenditore agricolo deve, infatti, rispettare il vincolo per cui tali attività devono riguardare “prodotti ottenuti prevalentemente” dall’esercizio delle attività “essenzialmente agricole” e, comunque, nei limiti delle tipologie di prodotti individuati, ogni due anni, con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze.
In tal senso, l’agricoltore è vincolato all’utilizzo “prevalente” dei propri prodotti, ma ha pure la possibilità di rivolgersi all’esterno per approvvigionarsi da terzi agricoltori, allo scopo di valorizzare i propri prodotti e massimizzare, così, i risultati dell’attività agricola tradizionale.
La prevalenza è valutata sulla base dei criteri definiti, per le cooperative a mutualità prevalente, dall’art. 2513 del codice civile, risultando, pertanto, verificata quando “la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci è superiore al cinquanta per cento della quantità o del valore totale dei prodotti”. Mutuando tale principio, per determinare il rapporto di prevalenza dei prodotti ottenuti dal terreno rispetto a quelli acquistati da terzi, è possibile far riferimento ai parametri del valore e della quantità. In particolare, si predilige quest’ultimo parametro quando vengono acquistati da terzi prodotti della stessa specie merceologica di quelli di propria coltivazione e, viceversa, si utilizza il parametro del valore negli altri casi (i.e., acquisto esterno di prodotti merceologicamente differenti).
Esempio di acquisto omogeneo. Si pensi al caso di un imprenditore che produce mele e acquista lo stesso frutto anche da agricoltori terzi: in questo caso, vanno confrontati i chilogrammi di mele coltivate autonomamente e i chilogrammi di mele acquistati da terzi.
Esempio di acquisto eterogeneo. Si pensi al caso dell’imprenditore che produce mele, decidendo di integrare la propria offerta acquistando pere da soggetti terzi: in questo caso, va confrontato – ai fini del giudizio di prevalenza – il valore delle mele prodotte con il valore delle pere acquistate.
Le attività “connesse” secondo il D.M. 13 febbraio 2015. Come osservato supra, ai sensi dell’art. 32 del TUIR, le attività agricole “connesse” sono tali se, fermo restando quanto precede (in ordine ai criteri di “connessione” e “prevalenza”), le stesse hanno ad oggetto prodotti espressamente indicati in un apposito decreto ministeriale, da emanare con cadenza biennale. Il primo di tali decreti è stato emanato in data 19 marzo 2004; l’ultimo (rectius: quello attualmente vigente), datato 13 febbraio 2015, individua le attività di “trasformazione” e “manipolazione” considerate comunque produttive di reddito agrario.
Si osservi che, nonostante la lettera dell’art. 32 del TUIR si riferisca all’individuazione di specifici prodotti (agricoli), in realtà, i decreti fin qui emanati hanno sempre identificato attività produttive di redditi agrari e, solo indirettamente, i beni agricoli stessi. In particolare, il vigente D.M. 13 febbraio 2015 prevede le seguenti attività:
- Produzione di carni e prodotti della loro macellazione (10.11.0 – 10.12.0);
- Produzione di carne essiccata, salata o affumicata, salsicce e salami (ex 10.13.0);
- Lavorazione e conservazione delle patate, escluse le produzioni di purè di patate disidratato, di snack a base di patate, di patatine fritte e la sbucciatura industriale delle patate (ex 10.31.0);
- Produzione di succhi di frutta e di ortaggi (10.32.0);
- Lavorazione e conservazione di frutta e di ortaggi (10.39.0);
- Produzione di olio di oliva e di semi oleosi (01.26.0 – 10.41.1 – 10.41.2);
- Produzione di olio di semi di granturco (olio di mais) (ex 10.62.0);
- Trattamento igienico del latte e produzione dei derivati del latte (01.41.0 – 01.45.0 – 10.51.1 – 10.51.2);
- Lavorazione delle granaglie (da 10.61.1 a 10.61.3);
- Produzione di farina o sfarinati di legumi da granella secchi, di radici o tuberi o di frutta in guscio commestibile (ex 10.61.4);
- Produzione di pane (ex 10.71.1);
- Produzione di paste alimentari fresche e secche (ex 10.73.0);
- Produzione di vini (01.21.0 – 11.02.1 – 11.02.2);
- Produzione di grappa (ex 11.01.0);
- Produzione di aceto (ex 10.84.0);
- Produzione di sidro e di altri vini a base di frutta (11.03.0);
- Produzione di malto (11.06.0) e birra (11.05.0);
- Disidratazione di erba medica (ex 10.91.0);
- Lavorazione, raffinazione e confezionamento del miele (ex 10.89.0);
- Produzione di sciroppi di frutta (ex 10.81.0);
- Produzione e conservazione di pesce, crostacei e molluschi, mediante congelamento, surgelamento, essiccazione, affumicatura, salatura, immersione in salamoia, inscatolamento, e produzione di filetti di pesce (ex 10.20.0);
- Manipolazione dei prodotti derivanti dalle coltivazioni di cui alle classi 01.11, 01.12, 01.13, 01.15, 01.16, 01.19, 01.21, 01.23, 01.24, 01.25, 01.26, 01.27, 01.28 e 01.30, nonché’ di quelli derivanti dalle attività di cui ai sopraelencati gruppi e classi;
- Manipolazione dei prodotti derivanti dalla silvicoltura di cui alle classi 02.10.0-02.20.0, comprendenti la segagione e la riduzione in tondelli, tavole, travi ed altri prodotti similari compresi i sottoprodotti, i semilavorati e gli scarti di segagione delle piante.
In sostanza, alla luce di quanto precede:
- le attività “essenzialmente agricole” di cui all’art. 32, comma 2, lett. a) e b), del TUIR, svolte nei limiti delle potenzialità del terreno, generano sempre reddito agrario;
- le attività “connesse” di cui all’art. 32, comma 2, lett. c), del TUIR sono produttive di reddito agrario se esercitate sui prodotti derivanti dall’attività agricola principale, a condizione che questi rientrino nell’elencazione di cui al D.M. 13 febbraio 2015;
- nel caso in cui l’imprenditore acquisti da terzi una parte dei prodotti indicati nel D.M. di cui al punto precedente, le attività “connesse” ex art. 32, comma 2, lett. c), del TUIR sono produttive di reddito agrario solo nel caso in cui risulti rispettata la condizione di prevalenza dei prodotti propri rispetto a quelli acquistati all’esterno.
Le attività agricole “connesse” secondo la prassi dell’Amministrazione finanziaria.
Con la Circolare n. 44/E del 2004, l’Agenzia delle Entrate, nel commentare le novità introdotte in materia di reddito agrario con la legge n. 350 del 2003 (c.d. “Finanziaria 2004”), ha fornito importanti chiarimenti in materia di attività agricole connesse.
L’Amministrazione finanziaria ha evidenziato che le attività di “conservazione”, “commercializzazione” e “valorizzazione” di prodotti agricoli rientrano sempre nell’ambito di applicazione dell’art. 32 del TUIR, purché riferite unicamente a prodotti coltivati in proprio dall’imprenditore agricolo. Quando tali ultime attività si riferiscono a prodotti acquistati da terzi esse non producono reddito agrario, bensì reddito d’impresa.
La già citata Circolare n. 44/E del 2004 (peraltro, ribadendo quanto già osservato nella Circolare n. 44/E del 2002) ha chiarito che le disposizioni dell’art. 32 del TUIR si applicano anche ai prodotti agricoli acquistati presso terzi, purché non prevalenti (rispetto ai prodotti propri) ma a condizione che siano stati oggetto di una attività di “manipolazione” o “trasformazione”. Nel citato documento di prassi viene inoltre chiarito che tali ultime attività possono altresì essere esternalizzate a soggetti terzi senza per questo perdere la connessione con l’attività agricola principale.
Per la definizione delle attività di manipolazione e trasformazione occorre fare riferimento alla Circolare Ministeriale n. 351690 del 1° giugno 1955. Il documento precisa che “si ha trasformazione quando il prodotto originario, per effetto della lavorazione, viene a perdere i caratteri merceologici che lo distinguono. Per esempio dalle olive viene ricavato l’olio, dall’uva il vino, dal latte il burro o il formaggio, ecc. Si ha, invece, manipolazione quando il prodotto, nonostante le lavorazioni subite, abbia conservato le sue qualità merceologiche originarie. Per esempio, la raccolta, la cernita, l’essicamento e l’imbottamento delle foglie di tabacco”.
Secondo l’Amministrazione Finanziaria, l’acquisto presso terzi di prodotti da sottoporre a “manipolazione” o “trasformazione” può essere finalizzato ad ottenere un aumento quantitativo della produzione (e, dunque, un più efficiente sfruttamento della struttura produttiva) ovvero a migliorare la gamma di beni complessivamente offerti dall’impresa agricola, sempreché si tratti di prodotti inclusi nel medesimo comparto produttivo in cui opera l’imprenditore agricolo e, comunque, non quantitativamente prevalenti rispetto alla produzione propria.
A quest’ultimo proposito, secondo quanto previsto dalla Circolare n. 44/E del 2002 e, poi, confermato dalla Circolare n. 44/E del 2004, per valutare la “prevalenza” è necessario confrontare il quantitativo di prodotti ottenuti dall’attività agricola principale e quello acquistato da terzi. Se, invece, l’approvvigionamento esterno riguarda beni diversi da quelli prodotti in proprio (i.e., al fine di migliorare la gamma d’offerta), la verifica richiede un confronto tra valore normale della produzione propria e costo di acquisto presso terzi.
Manipolazione e trasformazione dei prodotti ortofrutticoli
Dall’analisi della normativa e della prassi di riferimento emerge la necessità di definire in termini concreti e specifici i concetti di “manipolazione” e “trasformazione”, infatti, solo se l’imprenditore agricolo effettua questo tipo di lavorazioni, i prodotti agricoli acquistati da terzi possono, nei limiti della prevalenza, usufruire legittimamente della determinazione del reddito su base catastale.
Un siffatto presupposto impone un ragionamento specifico per il settore dell’ortofrutta finalizzato ad individuare quali sono quelle operazione in grado di concretizzare un processo di lavorazione tale da poter essere qualificato alla stregua di una vera e propria “manipolazione” o “trasformazione”.
La manipolazione
Al fine di definire concretamente il concetto di “manipolazione” occorre necessariamente muovere i nostri ragionamenti dalla definizione offerta dalla nota Circolare n. 351690 del 1° giugno 1955 con cui l’Agenzia ha precisato che si ha manipolazione: “quando il prodotto, nonostante le lavorazioni subite, abbia conservato le sue qualità merceologiche originarie. Per esempio, la raccolta, la cernita, l’essicamento e l’imbottamento delle foglie di tabacco”.
L’Amministrazione Finanziaria esemplifica il concetto di manipolazione nell’insieme di tutte quelle lavorazioni che vanno dalla raccolta del prodotto, fino al suo confezionamento.
A nostro parere la raccolta non può essere considerata un elemento essenziale al fine di integrare il concetto di “manipolazione”, poiché, se così fosse, dovrebbe limitarsi il concretizzarsi di tale operazione ai soli casi in cui il prodotto viene acquistato da terzi per mezzo di “contratti di vendita in piedi”, in cui è lo stesso acquirente a provvedere allo stacco della frutta, quindi alla sua raccolta.
Riteniamo, quindi, che con l’esempio prospettato l’Agenzia abbia voluto esprimere il principio secondo cui il concetto di manipolazione può considerarsi integrato solo se la frutta di terzi giunge presso l’azienda dell’imprenditore agricolo acquirente in uno stato tale da lasciare a quest’ultimo qualsivoglia operazione di selezionatura e cernita della frutta.
A questo punto una domanda sorge spontanea: in quali casi lo stato della frutta acquistata è tale da legittimare in capo all’acquirente una vera e propria manipolazione?
Per rispondere a questa domanda occorre ricorrere alle consuetudini in agricoltura ed in particolare a quelle tecniche di raccolta denominate “a scendi pianta” o “a scendi albero”.
Nelle contrattazioni con metodo “scendi pianta” o “scendi albero”, la compravendita è effettuata quanto la produzione è ancora sull’albero, quindi il produttore resta vincolato ad effettuare la raccolta della frutta a mano e con tutte le cure, in epoca giusta, con l’eliminazione dei soli frutti colpiti da marciume e di quelli caduti durante la raccolta.
Esaustiva al fine di offrire una definizione di tali tecniche di raccolta risulta la definizione offerta nella “Raccolta Usi e Consuetudini Agrari e Commerciali della provincia di Ferrara”, in base ai quali: “Fatte salve le normative riguardanti la qualità del prodotto, nelle contrattazioni con la clausola “a pianta pulita” oppure con quella “a scendi pianta”, si intende venduto tutto il prodotto, che all’epoca dell’accordo si trova attaccato alla pianta, con esclusione del “mal raccolto”; il prezzo convenuto è comprensivo delle spese di raccolta, di posa nell’imballaggio fornito dal compratore e di carico sul veicolo del compratore stesso, nel fondo. Quando la contrattazione è a “scendi pianta”, fra il momento della pattuizione e quello della raccolta, il venditore è obbligato ad eseguire, a sue spese, i trattamenti necessari; i rischi di avversità atmosferiche (siccità, eccessive precipitazioni, variazioni di temperatura, ecc.) sono a carico del compratore, ad eccezione del rischio per grandine, che provoca lo scioglimento del contratto”.
Con questa particolare tecnica di raccolta l’acquirente acquista l’intero quantitativo di frutta che all’epoca dell’accordo risultava “attaccata” alla pianta, lasciando, quindi, all’imprenditore agricolo acquirente tutte quelle operazioni di selezionatura e cernita indispensabili al fine di poter integrare il concetto di “manipolazione”.
Alla luce di tali considerazioni se l’imprenditore agricolo acquista, in misura non prevalente, frutta da imprenditori agricoli terzi con metodo “scendi pianta”, la sottopone a cernita, lavorazione e confezionamento, per poi provvedere alla sua commercializzazione, risulterà molto difficile per l’Amministrazione Finanziaria contestare l’avvenuta “manipolazione” di tali prodotti e, conseguentemente, la determinazione del reddito su base castale.
Al contrario, se la frutta viene acquistata da un intermediario commerciale, quindi da un soggetto che ha già effettuato una prima selezionatura del prodotto, riteniamo che in caso di verifica sia difficilmente sostenibile che tali prodotti siano stati effettivamente manipolati.
La trasformazione
La Circolare Ministeriale n. 351690 del 1° giugno 1955 precisa che “si ha trasformazione quando il prodotto originario, per effetto della lavorazione, viene a perdere i caratteri merceologici che lo distinguono. Per esempio dalle olive viene ricavato l’olio, dall’uva il vino, dal latte il burro o il formaggio, ecc.
Si può parlare, dunque di “trasformazione” ogni qual volta il prodotto agricolo principale subisce un cambiamento tale da perdere le proprie qualità merceologiche originarie. La definizione di tale concetto appare molto più agevole rispetto a quello di “manipolazione”, ciò anche alla luce del fatto che il D.M. del 13 febbraio 2015 offre un elenco dei prodotti trasformati che, nel rispetto dei limiti della prevalenza, possono usufruire della determinazione del reddito su base catastale.
Ricordiamo che, per una corretta individuazione dei prodotti compresi nel citato decreto, è necessario consultare le note esplicative riportate nel sito dell’ISTAT e relative al codice riportato a margine del prodotto; diversamente se il codice è preceduto dalla dicitura “ex”, si deve prendere in considerazione soltanto il prodotto indicato nel decreto e non tutti quelli compresi nel codice stesso.
Come detto il D.M. del 2015 rende molto più agevole l’individuazione dei prodotti trasformati, ma tale elencazione, pur definendo i prodotti che legittimano l’applicazione dell’art. 32 del TUIR, non può essere considerata esaustiva.
Infatti, se le attività agricole connesse, svolte nei limiti della prevalenza, hanno ad oggetto prodotti non compresi nell’elenco di cui al citato decreto, i relativi redditi non saranno ricompresi nel reddito agrario (art. 32), ma saranno assoggettati al regime forfettario dettato dall’art. 56-bis, comma 2, del TUIR (redditi di impresa) con applicazione di un coefficiente di redditività pari al 15%.
In merito all’applicazione dei criteri forfettari, occorre precisare che le attività di trasformazione che rientrano in tale regime sono quelle che concernono le trasformazioni in prodotti diversi da quelli compresi nella tabella allegata al decreto ministeriale.
Al paragrafo 1.3, la richiamata circolare 44/E precisa che: “devono ritenersi escluse dall’ambito di applicazione dell’articolo 56-bis citato le attività di trasformazione non usualmente esercitate nell’ambito dell’attività agricola che intervengono in una fase successiva a quella che ha originato i beni elencati nel decreto ministeriale, atte a trasformare ulteriormente questi ultimi beni fino a realizzare prodotti nuovi che non trovano connessione con l’attività agricola principale ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile.”.
Ne consegue che se un prodotto deriva da un’ulteriore trasformazione di un bene già elencato nel richiamato decreto i relativi redditi saranno determinati maniera analitica ex art. 56 del TUIR (costi/ricavi).