15 Lug LA GESTIONE FLESSIBILE DEL PERSONALE IN AGRICOLTURA: TRA ESIGENZE OPERATIVE E VINCOLI NORMATIVI
di Vanni Fusconi - Pubblicato sulla Rivista n. 07 2025 di ConsulenzaAgricola.it
In un settore come quello agricolo, fortemente condizionato da fattori esterni non governabili – come i cicli biologici delle colture e le mutevoli condizioni climatiche – la necessità di poter contare su una gestione flessibile del personale non è un’opzione, ma una vera e propria esigenza strutturale.
Proprio per far fronte a tali difficoltà e assecondare una gestione più dinamica della forza lavoro, anche il comparto agricolo, da alcuni anni, sta progressivamente esplorando forme di gestione del lavoro che vedono una distinzione fra il soggetto titolare del rapporto e quello che ne utilizza effettivamente la prestazione. Questa dissociazione, lecita e regolamentata, prende corpo attraverso strumenti giuridici – come il distacco del personale – che rappresentano una modalità del tutto legittima mediante cui un lavoratore può essere impiegato presso un soggetto diverso dal proprio datore di lavoro.
Nel settore agricolo, è frequente che più società facciano capo alla stessa compagine familiare, generando una pluralità di soggetti giuridici formalmente distinti, ma funzionalmente integrati. In tale contesto, non è raro che l’attività lavorativa venga svolta da dipendenti formalmente assunti da una società, ma operativamente impiegati presso un’altra del medesimo gruppo. Questa prassi operativa trova una cornice giuridica legittima nell’istituto del distacco di personale che nel rispetto delle singole identità giuridiche consente di valorizzare una gestione unitaria dei dipendenti.
Ancor prima di essere disciplinato normativamente, l’istituto del distacco veniva ampiamente utilizzato nella prassi e in assenza di una norma espressa, le regole applicative venivano definite dalla giurisprudenza che ha fornito per lungo tempo i criteri fondamentali di legittimità del distacco, incentrati sul concetto di interesse concreto e persistente del distaccante.
È solo con l’introduzione dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 (c.d. Legge Biagi) che il legislatore ha formalizzato la fattispecie e ne ha delineato in maniera chiara i presupposti: temporaneità della prestazione, svolgimento di una determinata attività, e soprattutto, sussistenza di un interesse del datore di lavoro distaccante, a fronte del quale il lavoratore viene posto temporaneamente a disposizione di un terzo soggetto.
Secondo il comma 1 dell’art. 30, “l’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”.
È dunque partendo dalla concreta necessità organizzativa dell’impresa (e non da un intento di mera interposizione) che si legittima il distacco. Tale interesse può assumere anche natura non economica, ma deve comunque essere reale, specifico e non occasionale. Non può, invece, consistere in una mera somministrazione di manodopera, vietata al di fuori delle ipotesi previste dalla legge.
È fondamentale che il rapporto di lavoro rimanga in capo al datore originario, che deve continuare a garantire al lavoratore l’intero trattamento economico e normativo previsto. Per questo motivo, nella prassi, la società che utilizza la prestazione lavorativa (detta distaccataria) rimborsa alla società distaccante l’esatto costo del personale distaccato. Tale rimborso, privo di un margine (il cosiddetto mark-up), in passato non assumeva alcuna rilevanza ai fini IVA, in virtù di quanto previsto dall’art. 8, comma 35, della Legge 11 marzo 1988, n. 67[1].
A partire dal 1° gennaio 2025, con l’abrogazione dell’art. 8, comma 35 ad opera del Decreto Salva Infrazioni[2], il distacco di personale è assoggettato ad IVA, in quanto rientrante a pieno titolo nel regime delle prestazioni di servizi. La modifica si inserisce nel solco tracciato dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’11 marzo 2020 (causa C-94/19)[3], con cui è stato chiaramente affermato l’obbligo degli Stati membri di includere nel perimetro IVA anche i rapporti di distacco che, seppur privi di margine economico (c.d. mark-up), presentano i caratteri oggettivi e soggettivi della prestazione di servizi a titolo oneroso.
Quello che fino ad oggi era considerato un mero “prestito gratuito” di personale, fondato su un principio di neutralità fiscale, viene così ridefinito dal legislatore in chiave sostanziale: laddove esista un servizio reso – anche mediante semplice riaddebito del costo effettivo – il distacco ora assume rilevanza ai fini IVA. Il superamento del principio di non imponibilità rappresenta una vera e propria inversione di prospettiva normativa, fondata sull’idea che non sia il margine economico a definire la prestazione, bensì la sussistenza di un nesso sinallagmatico tra il distaccante e il distaccatario.
Già in passato, la questione aveva generato interpretazioni contrastanti: alcuni orientamenti riconoscevano l’onerosità sulla base del quantum corrisposto dal distaccatario, altri invece legavano la rilevanza IVA all’esistenza di un obbligo contrattuale e di una prestazione economicamente valutabile, anche in assenza di utile.
È proprio per dirimere tali incertezze che era intervenuto, in via interpretativa, l’art. 8, comma 35 della Legge 67/1988, il quale escludeva dall’ambito di applicazione IVA i distacchi accompagnati da un mero rimborso dei costi sostenuti dal datore di lavoro distaccante, privi di controprestazione sinallagmatica.
Tale norma, oggi ritenuta in contrasto con il diritto europeo, cessa di avere efficacia dal 2025. Da tale data, sarà dunque necessario considerare il distacco del personale come una prestazione di servizi imponibile, con obbligo di fatturazione e liquidazione dell’IVA, salvo che non ricorrano espresse cause di esenzione.
La nuova impostazione richiede un ripensamento organizzativo e amministrativo da parte delle imprese – in particolare dei gruppi societari e delle reti di impresa – che tradizionalmente facevano ricorso al distacco come strumento neutro e flessibile di allocazione delle risorse umane.
In merito alla nuova disposizione normativa è intervenuta l’Agenzia delle Entrate che con la Circolare 5/E del 2025 ha precisato che la possibilità di qualificare il distacco di personale come prestazione imponibile ai fini IVA non può essere considerata automatica: essa discende dall’accertamento della presenza congiunta dei requisiti soggettivo, oggettivo e territoriale, così come delineati dalla normativa IVA e interpretati alla luce della giurisprudenza unionale.
Sul piano territoriale, la rilevanza dell’operazione ai fini IVA varia in funzione del soggetto destinatario della prestazione. Se il distaccatario è un soggetto passivo italiano (B2B), l’operazione è sempre imponibile in Italia, anche se il distaccante è stabilito all’estero[4].
Per quanto riguarda il presupposto oggettivo, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il distacco di personale configura una prestazione di servizi ex art. 3 del D.P.R. n. 633/1972, a condizione che vi sia un nesso sinallagmatico tra la messa a disposizione del lavoratore e il corrispettivo riconosciuto dal distaccatario. Tale nesso deve essere diretto e sostanziale, indipendentemente dal fatto che l’importo versato corrisponda esattamente al costo sostenuto, sia superiore o inferiore ad esso.
L’Agenzia, in risposta ai dubbi sollevati[5], ha distinto con precisione il regime applicabile alla somministrazione di manodopera (per cui l’IVA si applica solo sull’eventuale margine rispetto al costo del personale) da quello relativo al distacco, per cui l’intero importo percepito dal distaccante rappresenta base imponibile IVA, sempre nel rispetto degli altri requisiti richiesti.
Il nodo centrale della disciplina, tuttavia, è rappresentato dalla verifica del presupposto soggettivo, il cui accertamento può risultare complesso soprattutto nel caso in cui il datore di lavoro distaccante sia un ente non commerciale. In tali casi, non è sufficiente la mera operazione di distacco per far sorgere l’imposizione: essa sarà rilevante ai fini IVA solo se collegata all’attività d’impresa eventualmente esercitata. Diversamente, se il personale distaccato è impiegato nell’ambito dell’attività non commerciale dell’ente, l’operazione ricade fuori campo IVA per difetto del requisito soggettivo.
Alla luce di quanto sopra espresso, il principio generale secondo cui il distacco integra una prestazione di servizi trova attuazione solo in presenza di tutti i requisiti richiesti. È in questo contesto che si inserisce il recente intervento normativo attuativo della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE (C-94/19 dell’11 marzo 2020): l’abrogazione dell’art. 8, comma 35, a decorrere dal 1° gennaio 2025, sancisce la fine dell’esclusione dall’IVA dei distacchi accompagnati da meri rimborsi.
Per quanto concerne la decorrenza delle novità in argomento, occorre evidenziare che il comma 2 dell’articolo 16-ter del decreto Salva-infrazioni, stabilisce che le novità sul trattamento, ai fini dell’IVA, delle operazioni di distacco o prestito di personale “si applicano ai prestiti e ai distacchi di personale stipulati o rinnovati a decorrere dal 1° gennaio 2025 (…)”.
Secondo il parere espresso dall’Agenzia con il termine “stipulati”[6] il legislatore avrebbe inteso fare riferimento ai “contratti” aventi a oggetto le operazioni di distacco, conseguentemente le modifiche troverebbero applicazione relativamente ai contratti stipulati dal 1° gennaio 2025. Per le le operazioni relative a contratti stipulati entro tale data continua a trovare applicazione la previsione di cui al comma 35 dell’articolo 8 della legge finanziaria 1988.
L’Agenzia ribadisce inoltre l’operatività della cosiddetta “clausola di salvaguardia” che fa salvi tutti i comportamenti adottati anteriormente alla data di efficacia della norma. In buona sostanza, in assenza di accertamenti definitivi, è legittimo sia il comportamento dell’impresa che non ha applicato l’IVA sia il comportamento di chi ha addebitato l’imposta in conformità dei principi espressi dalla Corte di Giustizia UE.
Nell’ultima parte della circolare, l’Agenzia delle Entrate affronta il trattamento ai fini IVA delle somme versate in esecuzione dei contratti di codatorialità e di avvalimento di personale.
L’istituto della codatorialità nelle reti d’impresa agricole, introdotto formalmente con il D.M. 27 marzo 2014, consente alle imprese retiste di assumere congiuntamente lavoratori, a condizione che almeno il 50% delle aderenti alla rete siano imprese agricole.
A differenza del tradizionale rapporto di lavoro subordinato, dove il lavoratore è vincolato a un unico datore, la codatorialità permette l’instaurarsi di un unico rapporto contrattuale con più datori di lavoro appartenenti alla stessa rete. In tal modo, il lavoratore può prestare attività presso diverse imprese retiste, secondo le esigenze produttive, senza la necessità di sottoscrivere nuovi contratti. Questa flessibilità si traduce in una gestione più efficiente del personale e in una maggiore continuità occupazionale per i lavoratori, riducendo il ricorso a forme contrattuali precarie, come quelle a chiamata o di breve durata.
Affinché tale modello operi correttamente, è imprescindibile che il contratto di rete disciplini con precisione le modalità di utilizzo della manodopera condivisa, specificando tempi, condizioni e modalità operative presso ciascuna impresa aderente. Il contratto deve inoltre individuare un’impresa referente, che si farà carico degli adempimenti retributivi e previdenziali, fungendo da punto di riferimento amministrativo. Allo stesso tempo, è essenziale che il riparto degli oneri tra le imprese della rete sia proporzionato all’effettivo utilizzo della manodopera, evitando che alcuni soggetti beneficino del lavoro altrui senza contribuire ai relativi costi.
Un elemento centrale ai fini della legittimità della codatorialità è che l’impiego condiviso dei lavoratori risponda effettivamente agli obiettivi del programma di rete. La manodopera non deve essere concentrata stabilmente presso una sola impresa, pena il rischio di riqualificazione del rapporto come appalto illecito di manodopera.
In merito al trattamento IVA occorre evidenziare che nel regime di codatorialità ciascuna impresa retista aderente al contratto assume la qualifica di datore di lavoro. Pertanto, pur se il pagamento degli oneri relativi al lavoratore è effettuato da una sola impresa retista, tutte le imprese co-datrici sono solidalmente responsabili e soggette ad azione di regresso.
Il riaddebito pro-quota degli oneri sostenuti – in funzione dell’utilizzo effettivo e imputabile del lavoratore da parte di ciascuna impresa – si qualifica, ai fini IVA, come mera cessione di denaro. Ne consegue che l’operazione è fuori campo IVA per carenza del presupposto oggettivo, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lett. a), del Decreto IVA.
Tale conclusione è giustificata dal fatto che la codatorialità genera un effetto equivalente, sotto il profilo IVA, a quello che si sarebbe avuto se ciascuna impresa avesse assunto autonomamente il lavoratore, a condizione che il riaddebito non superi il mero costo del personale oggetto di codatorialità.
[1] Art. 8, comma 35, L. 11 marzo 1988, n. 67: “Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.
[2] Articolo 16-ter del decreto-legge 16 settembre 2024, n. 131 (c.d. “decreto Salva-infrazioni”), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 2024, n. 166 – Trattamento del prestito o distacco di personale agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto.
[3] La Corte ha affermato l’incompatibilità con l’art. 2, punto 1, della Direttiva IVA, del citato art. 8, comma 35, con riguardo a quelle fattispecie nelle quali gli importi versati dal distaccatario a favore del distaccante, da un lato, e i prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente, vale a dire allorché l’una, il distacco, sia effettuata solo a condizione che vi sia anche l’altra, ossia il rimborso dei relativi costi.
[4] Diversamente, se il distaccatario è un soggetto privato (B2C), l’operazione è rilevante in Italia solo se il distaccatario, non soggetto passivo IVA, è domiciliato e residente nel territorio dell’unione europea.
[5] Circolare Assonime n. 4/2025.
[6] Agenzia Entrate, circolare 5/E 2025: “Ai fini dell’individuazione, sotto il profilo temporale, della disciplina applicabile, si fa riferimento alla data di stipula o di rinnovo dei contratti in argomento.
Tale circostanza si ritiene possa essere ravvisata sulla base di qualsiasi tipologia di atto o di documento idoneo ad attestare la data di formazione dell’accordo tra le parti, fermo restando che l’esistenza di tali operazioni sia dimostrata sulla base di elementi oggettivamente riscontrabili, dai quali si possa desumere con certezza la data di inizio e di fine rapporto (i.e. le comunicazioni obbligatorie al Ministero del lavoro e delle politiche sociali)”.