FLOROVIVAISMO E FISCO: L’AGENZIA DELLE ENTRATE EVITA LA STANGATA DEL 400%, MA ALL’AGRICOLTURA SERVONO NORMATIVE PIÙ CHIARE

di Vanni Fusconi - Pubblicato sulla Rivista n. 08/09 2025 di ConsulenzaAgricola.it

Con la Circolare n. 12/E dell’8 agosto scorso, l’Agenzia delle Entrate ha posto fine a uno dei dilemmi più delicati emersi con l’ultima riforma fiscale in agricoltura: la corretta qualificazione tributaria delle coltivazioni tradizionali realizzate in serre accatastate come D/10.

Un dettaglio che, almeno sulla carta, poteva sembrare tecnico e di nicchia, ma che nella realtà aveva generato tensioni concrete e timori diffusi all’interno del mondo florovivaistico, già sottoposto a una profonda trasformazione normativa.

La riforma, entrata in vigore il 1° gennaio 2024, non è stata infatti un semplice aggiustamento di regole: ha segnato un cambio di paradigma. Per la prima volta si è riconosciuto che anche ai fini fiscali l’agricoltura non si identifica più solo con quelle coltivazioni che utilizzano la terra come substrato di produzione, ma può svilupparsi anche attraverso metodi innovativi e spazi alternativi. Da un lato, quindi, è stato ampliato il concetto di reddito agrario includendo le coltivazioni cosiddette “fuori suolo”; dall’altro, con l’aggiunta della lett. b-bis) al 2° comma dell’art. 32 TUIR, si è aperta la porta alla possibilità di esercitare attività agricole anche in immobili registrati in diverse categorie catastali (C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10).

In sostanza, ciò che fino a ieri poteva sembrare un confine invalicabile tra edilizia e agricoltura, oggi viene ripensato, ridisegnando i margini operativi delle imprese agricole e aprendo nuovi scenari non solo per chi lavora nel florovivaismo, ma per l’intero comparto agroalimentare che guarda al futuro con modelli produttivi più flessibili e sostenibili.

Il legislatore, con la riforma fiscale, ha inteso compiere un passo ambizioso: dare finalmente un quadro normativo chiaro alle coltivazioni innovative, riconoscendo e disciplinando forme di agricoltura che fino a ieri restavano ai margini della normativa tributaria. Eppure, come spesso accade quando la norma incontra la complessità del mondo reale, il testo letterale della disposizione ha aperto più di un interrogativo. In particolare, l’inclusione della categoria catastale D/10 nell’elenco di cui alla lett. b-bis) ha alimentato un dubbio che ha subito agitato il settore: le serre tradizionali accatastate in D/10 rischiavano davvero di essere assoggettate agli stessi, più onerosi, criteri fiscali pensati per le coltivazioni innovative?

La questione non era affatto marginale. Non solo perché avrebbe comportato un aumento significativo del carico fiscale, ma anche perché si sarebbe creata un’incongruenza evidente: trattare alla stregua di “innovative” attività che da decenni trovano spazio nel florovivaismo tradizionale. Inoltre, si poneva un ulteriore problema: i florovivaisti che in passato, senza la copertura della riforma, avevano usufruito della tassazione catastale per le coltivazioni svolte in serre D/10, avrebbero corso il rischio di veder riqualificato il proprio reddito in reddito di impresa?

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 12/E, ha scelto un approccio pragmatico, cercando di restituire al comparto un quadro coerente e comprensibile. Pur riconoscendo la rigidità del dato normativo, l’Agenzia ha chiarito che il nuovo regime di tassazione – quello che prevede, in via transitoria, l’applicazione della tariffa d’estimo più elevata della provincia incrementata del 400% – si applica esclusivamente alle coltivazioni innovative, come le vertical farm, le colture idroponiche o la micropropagazione in vitro. Per le coltivazioni tradizionali, invece, anche se realizzate all’interno di fabbricati D/10, continuano a valere le regole già esistenti dettate dl combinato disposto di cui agli articoli 32, comma 2, lett. b)[1], 34 comma 4[2] e 28, comma 4 bis[3] del TUIR, ovvero, il riferimento al reddito agrario e dominicale più alto della provincia, senza alcuna maggiorazione.[4]

Si tratta, a tutti gli effetti, di una soluzione di equilibrio. Da un lato tutela gli operatori, offrendo loro la certezza di poter proseguire la propria attività senza il timore di un’improvvisa impennata fiscale; dall’altro legittima, anche retroattivamente, un’interpretazione che conferisce stabilità a un settore fragile e strategico come quello del florovivaismo. Eppure, non si può ignorare il divario che resta tra la lettera della norma e la lettura fornita dall’Agenzia. Un divario che, se non affrontato con un intervento legislativo di chiarimento, rischia di lasciare aperta una falla nella coerenza complessiva della riforma. Per questo, diventa auspicabile un riallineamento normativo, capace di tradurre in regole chiare e inequivocabili quelle finalità che la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 192/2024 aveva delineato con precisione: sostenere l’innovazione senza penalizzare le tradizioni consolidate.

Tassazione catastale estesa alle coltivazioni innovative

La recente riforma fiscale segna una svolta epocale nella definizione di reddito agrario prevista dall’art. 32, comma 1, del TUIR. Per la prima volta, infatti, viene superata una visione ormai anacronistica, fondata sul concetto di “potenzialità del fondo”, e si introduce un criterio che guarda con decisione al diritto civile, allineando pienamente la nozione fiscale a quella delineata dall’art. 2135 c.c. In questo modo, l’attività agricola viene definita non più come mera espressione della capacità produttiva del terreno, ma come un insieme articolato di processi che includono la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico vegetale o animale, indipendentemente dal fatto che vi sia o meno il legame diretto con la terra.

Il passaggio non è soltanto formale. Si tratta di un cambio di paradigma che ha il merito di aprire la fiscalità agricola a tutte quelle forme di coltivazione evolute e tecnologicamente avanzate che superano i confini dell’agricoltura tradizionale. Tecniche di coltivazione come quella idroponica e acquaponica  mediante vertical farm, ma anche le coltivazioni in vitro che in passato restavano sospese in una zona grigia dal punto di vista tributario, trovano ora pieno riconoscimento. Il legislatore, infatti, ha voluto chiarire che il terreno può rappresentare un supporto utile, ma non costituisce più il presupposto esclusivo per determinare il reddito su base catastale.

Il riferimento esplicito all’art. 2135 c.c. rafforza questa apertura, poiché amplia la possibilità di usufruire della determinazione del reddito agrario anche se il ciclo biologico non sfrutta il terreno quale sub strato di produzione.  Questo è un punto cruciale: resta esclusa, infatti, ogni attività che si limiti a utilizzare strutture o tecnologie senza incidere su un processo vitale vegetale o animale, perché in quel caso verrebbe meno la qualifica di impresa agricola.

La riforma, quindi, compie un doppio allineamento: da un lato armonizza la disciplina fiscale con quella civilistica, eliminando contraddizioni che per anni hanno generato incertezze interpretative; dall’altro, apre la strada a un sistema più moderno e inclusivo, capace di fotografare l’agricoltura del presente e del futuro. Non a caso, il superamento del vincolo “terra” si lega perfettamente alla nuova lettera b-bis) del comma 2 dell’art. 32 TUIR, che consente l’applicazione della tassazione catastale anche per coltivazioni realizzate in fabbricati, indipendentemente dalla presenza di terreno agricolo.

In questo modo, il legislatore non solo offre un quadro normativo coerente, ma lancia un messaggio chiaro al settore: l’agricoltura italiana non è più soltanto quella dei campi coltivati, ma anche quella delle serre tecnologiche, dei laboratori di micropropagazione, delle produzioni verticali e di tutte le pratiche che, pur senza un legame fisico con il suolo, restano espressione autentica dell’ingegno e della capacità di innovazione dell’impresa agricola.

In virtù dei chiarimenti offerti dall’Agenzia (Circolare 12/E 2025) la riforma fiscale ha introdotto per le sole coltivazioni innovative svolte in immobili oggetto di censimento al catasto dei fabbricati, rientranti nelle categorie catastali C/1, C/2, C/3, C/6, C/7, D/1, D/7, D/8, D/9 e D/10, nuovi criteri di determinazione del reddito agrario e dominicale. L’ultimo periodo della nuova lett. b-bis) richiama un apposito decreto[5] che, oltre alla superficie di riferimento per l’individuazione del reddito agrario attribuibile alle coltivazioni nei fabbricati, dovrà determinare nuove classi e qualità di coltura (e la relativa tariffa dominicale e agraria) per le nuove forme di coltivazione (idroponiche, acquaponiche, vertical farm ecc.) e le modalità di dichiarazione in catasto dei fabbricati finalizzati alla produzione di vegetali.

In attesa del decreto ministeriale attuativo, il nuovo combinato disposto di cui all’articolo 28 comma 4-ter e  art. 34 comma 4-bis del TUIR prevede uno specifico regime transitorio, in base al quale i redditi dominicale e agrario verranno determinati, per le produzioni in immobili censiti al catasto fabbricati, applicando alla superficie della particella su cui insiste l’immobile la tariffa d’estimo più alta in vigore nella provincia in cui è censita la particella, incrementata del 400 per cento[6]. Ai sensi di quanto previsto dal nuovo art. 28, comma 4 quater, il reddito dominicale determinato ai sensi del decreto di cui all’articolo 32, comma 3-bis, ovvero, in via transitoria, ai sensi del comma 4-ter, non può essere inferiore alla rendita catastale attribuita all’immobile destinato alle attività dirette alla produzione di vegetali di cui all’articolo 32, comma 2, lettera b-bis).

Per quanto riguarda le coltivazioni realizzate con sistemi innovativi ma non svolte in immobili indicati dalla lettera b-bis) dell’art. 32 del TUIR – come nel caso di una coltura idroponica praticata in una serra leggera non accatastabile – con la Circolare 12/E è stato chiarito che le stesse rientrano comunque nella disciplina prevista dalla lettera b) del comma 2 dello stesso articolo. Questo perché, con la riforma, è stato eliminato il legame obbligatorio tra attività agricola e terreno, mentre per le coltivazioni in questione manca uno dei requisiti richiesti per poter applicare la lettera b-bis).

La determinazione del reddito nel periodo transitorio

In virtù di quanto stabilito dalla riforma fiscale, per le coltivazioni “con tecniche innovative” svolte all’interno di immobili censiti nelle citate classi catastali, fino all’emanazione del decreto interministeriale, il reddito agrario viene calcolato applicando alla superficie della particella catastale su cui si trova l’immobile la tariffa d’estimo più alta in vigore nella provincia, maggiorata del 400%[7]. Come evidenziato nella relazione illustrativa al decreto, questa maggiorazione del 400% è giustificata dalla maggiore produttività delle colture “fuori suolo”, le quali, grazie a tecnologie avanzate e sistemi innovativi di produzione in ambienti chiusi e protetti, possono garantire rese superiori rispetto all’agricoltura tradizionale.

La disposizione così come formulata non prevede alcun limite di produttività nel corso del regime transitorio, ma l’Agenzia delle Entrate con la Circolare 12/E ha chiarito che anche in questo periodo dovranno trovare comunque applicazione i limiti sanciti dalla lett. b-bis), quindi in assenza del decreto che individua la superficie agraria di riferimento, occorre prendere in considerazione la superficie della particella su cui insiste l’immobile.

Ne consegue che, fino all’emanazione del decreto interministeriale, le attività agricole di cui alla lettera b-bis) producono reddito d’impresa solo se la superficie utilizzata per la produzione supera il doppio della superficie della particella catastale. In tale ipotesi, il reddito relativo alla parte eccedente deve essere assoggettato a imposizione secondo i criteri previsti dall’art. 56-bis, comma 1, TUIR: esso concorre quindi a formare il reddito d’impresa in misura proporzionale al reddito agrario (determinato, nel periodo transitorio, con il criterio della tariffa d’estimo incrementata) riferibile alla superficie eccedente.

Con la circolare 12/E l’Agenzia ha fornito un esempio pratico di determinazione del reddito nel caso di coltivazione innovative svolte in fabbricati accatastati nel corso del periodo transitorio. Per motivi di semplificazione espositiva ha espresso tutte le superfici in metri quadri facendo riferimento a soggetti che non sono coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali:

  • rendita catastale dell’immobile: 000 euro;
  • superficie della particella catastale del terreno su cui insiste il predetto immobile: 000 mq;
  • tariffa di RD più alta in vigore nella provincia in cui è censita la predetta particella: 1 euro al mq;
  • tariffa di RA più alta in vigore nella provincia in cui è censita la predetta particella: 2 euro al mq;


Determinazione del reddito dominicale nel periodo transitorio

 [1 + (1 x 400%)] x 1.000 = 5.000 euro.

A tale valore si applica la rivalutazione dell’80 per  cento e del  30  per  cento,  di conseguenza il reddito dominicale rivalutato è pari a 5.000 x 1,80 x 1,30 = 11.700 euro.

Il reddito dominicale così determinato deve poi essere confrontato con la rendita catastale dell’immobile rivalutata del 5 per cento, che è pari a 12.600 euro (ossia 12.000 x 1,05).

Nel caso in esame, visto che il reddito dominicale rivalutato (11.700 euro) è inferiore alla rendita catastale rivalutata dell’immobile (12.600 euro), il reddito dominicale imponibile è pari a 12.600 euro.

Determinazione del reddito agrario nel periodo transitorio

Il reddito agrario nel periodo transitorio è determinato nel modo seguente:

[2 + (2 x 400%)] x 1.000 = 10.000 euro.

Il reddito agrario da assoggettare alla rivalutazione del 70 per cento e del 30 per cento è pari a 10.000 euro. Il reddito agrario imponibile è pari a 22.100 euro (10.000 x 1,70 x 1,30).

[1] Art. 32, comma 2, lett. b): “Sono considerate attività agricole produttive di reddito agrario: b) […] le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste;”.

[2]  Art. 34, comma 4 del TUIR: “Per  la  determinazione  del reddito agrario delle superfici adibite alle  colture prodotte  in  serra  o  alla funghicoltura si applica la disposizione  del comma 4-bis dell’articolo 28”.

[3] Art. 28, comma 4-bis del TUIR: “4-bis. Il reddito dominicale delle superfici adibite alle colture prodotte in serra o alla funghicoltura, in mancanza della corrispondente qualità nel quadro di qualificazione catastale, è determinato mediante l’applicazione della tariffa d’estimo più alta in vigore nella provincia”.

[4] Agenzia Entrate Circolare 12/E del 8 agosto 2025: “Al riguardo, occorre evidenziare che l’articolo 1 del Decreto non ha modificato la lettera b) del comma 2 dell’articolo 32 del TUIR, secondo cui sono considerate attività agricole produttive di reddito agrario «le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste». Di  conseguenza,  nell’ipotesi  in  cui  il  contribuente  abbia  esercitato,  nei periodi d’imposta precedenti all’entrata in vigore del Decreto, un’attività diretta alla  produzione  di  vegetali,  tramite  l’utilizzo  di  strutture  fisse  o  mobili,  anche provvisorie, ancorché accatastate, produttiva di reddito agrario ai sensi della citata lettera  b),  si  ritiene  che,  anche  dopo  l’entrata  in  vigore  del  Decreto,  laddove l’attività  esercitata  non  sia  cambiata,  al  reddito  agrario  conseguito  continui  ad applicarsi la medesima disciplina.”.

[5] Art. 32, comma 3 bis: “3-bis. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, sono individuate, per i terreni, nuove classi e qualità di coltura al fine di tenere conto dei più evoluti sistemi di coltivazione, nonché sono disciplinate le modalità di dichiarazione in catasto dell’utilizzazione degli immobili oggetto di censimento al catasto dei fabbricati per attività di produzione di vegetali e le modalità di determinazione della relativa superficie agraria di riferimento di cui al comma 2, lettera b-bis).”.

[6] Ai sensi di quanto previsto dal nuovo art. 28, comma 4 quater il reddito dominicale non può essere inferiore alla rendita catastale attribuita all’immobile destinato alla produzione.

[7] Art. 34, comma 4 -bis del TUIR.