DAL FOTOVOLTAICO ALL’AGRIVOLTAICO CON LA NECESSITA’ DI UN NUOVO INQUADRAMENTO FISCALE

di Vanni Fusconi, centro studi ConsulenzaAgricola.it

L’agrivoltaico è un sistema per la produzione di energia da fonte fotovoltaica che permette di combinare la produzione agricola ed energetica, enfatizzando il doppio uso del suolo, attraverso tecnologie che consentono lo svolgimento dell’attività agricola sotto ed accanto i pannelli fotovoltaici. L’agrivoltaico si differenzia, dunque, in maniera sostanziale dai tradizionali impianti fotovoltaici in cui la produzione di energia è di fatto incompatibile con quella agricola. Si pensi, ad esempio, all’eccessivo ombreggiamento che può generare ricadute sull’efficienza fotosintetica o alle ridotte distanze spaziali tra i moduli, o tra i moduli ed il terreno, che non consentono di svolgere in maniera efficiente le attività agronomiche e zootecniche. Le differenti caratteristiche che connotano i due sistemi di produzione di energia solare sono state ben evidenziate dal Consiglio di Stato che con la Sentenza n. 8029 del 30/08/2023[1] che ha stabilito che un impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola non può essere assimilato ad un impianto che produce unicamente energia elettrica e che non contribuisce, neppure in minima parte, alle ordinarie esigenze dell’agricoltura. In altre e più semplici parole, mentre l’impianto fotovoltaico privilegia la produzione di energia a discapito di quella agricola, l’agrivoltaico è in grado di farle coesistere e, nella sua massima espressione (agrivoltaico avanzato), può persino migliorare la produzione agricola principale[2].

Siamo dunque al cospetto di impianti per la produzione di energia che si inseriscono nell’ambito dell’attività agricola di coltivazione, allevamento e silvicoltura in maniera molto diversa, se non opposta, rispetto ai tradizionali impianti fotovoltaici e, tali differenze, non possono far altro che riverberarsi anche per quanto concerne il loro inquadramento in agricoltura ad opera dell’art. 1, comma 423 della legge finanziaria del 2006. Come evidenzierò meglio in seguito, ciò emerge con estrema chiarezza dagli stessi chiarimenti con cui l’Agenzia delle Entrate ha stabilito i criteri di connessione con l’attività agricola principale[3], evidentemente informati a garantire una incontrollata sottrazione del suolo all’attività agricola essenziale. Necessità che non sussiste nel caso di produzione di energia da fonte agrivoltaica.

Al fine di offrire un inquadramento sistematico in agricoltura della produzione di energia da fonte agrivoltaica, analizzerò l’evoluzione che dal 2006 ad oggi ha caratterizzato la disciplina della produzione di energia da fonte fotovoltaica in agricoltura, per poi approfondire il possibile inquadramento di questa “nuova” forma di produzione energetica nell’ambito dell’attuale sistema regolamentare.

L’origine dell’inquadramento della produzione di energia da fonte fotovoltaica in agricoltura

Con l’art. 1, comma 423 della L. 23 dicembre 2005 n. 266 (legge finanziaria 2006) il legislatore ha incluso la produzione e la cessione di energia elettrica da fonti fotovoltaiche nel novero delle attività agricole connesse di cui all’art. 2135, 3° comma, del codice civile, considerandole, nell’originaria formulazione della norma, interamente ricomprese nel reddito agrario[4]. Nella sua attuale formulazione[5] la disposizione stabilisce che la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali, sino a 2.400.000 kWh anno, e fotovoltaiche, sino a 260.000 kWh anno, effettuata dagli imprenditori agricoli, costituisce attività connessa ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considera produttiva di reddito agrario di cui all’art. 32 del TUIR[6]. Per la produzione di energia eccedente i predetti limiti il reddito delle persone fisiche, delle società semplici e delle società agricole[7] che hanno optato per la determinazione del reddito su base catastale[8] è determinato, ai fini IRPEF ed IRES, applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, il coefficiente di redditività del 25 per cento.

Il legislatore riserva, dunque, alla produzione di energia da fonte fotovoltaica i benefici propri dell’imposizione fiscale in agricoltura in luogo del criterio di determinazione del reddito su base analitica (costi/ricavi) disciplinato dagli articoli 55 e ss, 83 e ss del TUIR. Nonostante tale attività sia stata definita ope legis quale “attività agricola connessa” ai sensi di quanto previsto dall’art. 2135 del codice civile[9], è emersa sin da subito la necessità di individuare criteri di connessione con l’attività agricola principale, visto il difficile inquadramento fra le attività connesse annoverate nel terzo comma dell’art. 2135 c.c..

Appare chiaro, infatti, che la produzione e la cessione di energia non può essere inquadrata fra le attività connesse di “manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che hanno ad oggetto i prodotti ottenuti prevalentemente dall’attività agricola principale”, poiché la produzione di energia viene generata dal sole e non da prodotti ottenuti prevalentemente dal fondo. Esistono criticità anche con riferimento all’inquadramento nell’ambito delle attività connesse “dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata”, poiché i pannelli fotovoltaici (definibili quali attrezzature) non vengono impiegati prevalentemente nell’attività agricola esercitata, visto che, salvo rare eccezioni[10], l’energia viene prevalentemente destinata alla cessione sul mercato.

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare 32/E del 2009, è intervenuta in merito all’inquadramento fiscale dell’attività di produzione di energia da fonte fotovoltaica precisando che la stessa può essere definita come un’attività connessa “atipica”[11], in quanto il suo svolgimento non richiede all’imprenditore agricolo l’impiego di prodotti derivanti dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali. Tuttavia, trattandosi di attività agricola “connessa” presuppone, comunque, un collegamento con l’attività agricola principale, caratterizzata dalla presenza di un’azienda con terreni coltivati e distinti in catasto con attribuzione di reddito agrario. Inoltre, nel richiamato documento di prassi viene evidenziata la necessità di individuare precisi criteri di connessione con l’attività agricola esercitata che l’Agenzia, richiamando quanto previsto dal Ministero per le politiche agricole e forestali, con nota prot. n. 3896 del 27 luglio 2008, definisce come segue:

1. la produzione di energia fotovoltaica derivante dai primi 200 KW di potenza nominale complessiva, si considera in ogni caso connessa all’attività agricola; 2. la produzione di energia fotovoltaica eccedente i primi 200 KW di potenza nominale complessiva, può essere considerata connessa all’attività agricola nel caso sussista uno dei seguenti requisiti: a) la produzione di energia fotovoltaica derivi da impianti con integrazione architettonica o da impianti parzialmente integrati, come definiti dall’articolo 2 del D.M. 19 febbraio 2007, realizzati su strutture aziendali esistenti. b) il volume d’affari derivante dell’attività agricola (esclusa la produzione di energia fotovoltaica) deve essere superiore al volume d’affari della produzione di energia fotovoltaica eccedente i 200 KW. Detto volume deve essere calcolato senza tenere conto degli incentivi erogati per la produzione di energia fotovoltaica; c) entro il limite di 1 MW per azienda, per ogni 10 KW di potenza installata eccedente il limite dei 200 KW, l’imprenditore deve dimostrare di detenere almeno 1 ettaro di terreno utilizzato per l’attività agricola.”.

L’Agenzia, dopo aver ricompreso la produzione di energia da fonte fotovoltaica nel novero delle attività connesse “atipiche”, e non potendo la “prevalenza” desumersi da un confronto quantitativo con la produzione derivante dal fondo, si preoccupa di individuare alcuni parametri di connessione. Da un lato viene evidenziata la necessità dell’esercizio di un’attività agricola principale, senza la quale non potrebbe esistere alcuna attività agricola connessa, mentre dall’altro vengono individuati precisi criteri di connessione la cui finalità, come vedremo meglio in seguito, è indubbiamente quella di preservare la continuità dell’attività agricola nel tentativo di mantenere un equilibrio fra produzione di cibo, ambiente e produzione di energia.

La Circolare 32/E, seppur aspramente criticata in dottrina[12], ha avuto il merito di dare attuazione alla produzione di energia da fonte fotovoltaica in agricoltura. Tuttavia, come spesso accade quando si dà troppa importanza al risultato, senza preoccuparsi di come lo si è raggiunto, si sono creati nel tempo veri e propri corto circuiti interpretativi molto difficili da risolvere.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 66 del 24 aprile 2015

La Corte Costituzionale con la Sentenza n. 66 del 2015 si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento in merito al regime fiscale agevolato riservato alla produzione e la cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali, effettuate dagli imprenditori agricoli. Secondo i giudici di prime cure, l’assenza di un limite qualitativo e quantitativo oltre al quale tale attività viene considerata come attività industriale (soggetta a reddito di impresa oggetto di tassazione ordinaria) genererebbe una violazione dei principi Costituzionali di solidarietà, uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva. Nel caso oggetto del contenzioso che ha generato la questione di legittimità costituzionale, l’Agenzia contestava la natura agricola dell’attività svolta da una società che nell’anno oggetto di accertamento (2011) aveva effettuato ricavi da attività agricola per circa 0,3 millesimi dei corrispettivi incassati dalla cessione di energia elettrica (circa 1.100 Euro, contro circa 3,3 milioni di Euro). A detta del Collegio Giudicante, le norme applicabili al caso in esame accorderebbero il regime fiscale di vantaggio previsto per le imprese agricole anche a soggetti economici che, a fronte di un’attività agricola di modeste dimensioni, ottengono ricavi di gran lunga maggiori dalla produzione di energia da fonti rinnovabili; pertanto, i Giudici di Agrigento hanno ritenuto opportuno sollevare la questione di illegittimità costituzionale della normativa, poiché violerebbe i principi di solidarietà, uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva.

La Corte Costituzionale con la sentenza in commento ha dichiarato infondata l’eccezione di illegittimità sollevata dai Giudici agrigentini sulla base delle seguenti motivazioni:

Ebbene, l’attività di cui è questione è appunto da qualificarsi come «attività dirett[a] alla fornitura di beni» e, quindi, per essa vale il requisito della «utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola». In particolare, quello che qui viene in evidenza è il fondo, quale «risorsa» primaria dell’impresa agricola, che, anche quando sia utilizzato per la collocazione degli impianti fotovoltaici, insieme alle eventuali superfici utili degli edifici addetti al fondo, deve comunque risultare «normalmente impiegat[a]» nell’attività agricola. Del resto, il requisito risulta immanente al concetto stesso di connessione ed è coerente con la ratio dell’intera normativa in materia, volta a riconoscere un regime di favore per l’impresa agricola pur in presenza dell’esercizio di attività connesse, purché queste ultime non snaturino la stessa impresa, contraddicendone la vocazione agricola.”.

La Consulta, ispirandosi al criterio interpretativo primario della legge[13], si discosta dall’inquadramento offerto dall’Agenzia delle Entrate con la Circolare 32/E del 2009 e riconduce la produzione di energia da fonte fotovoltaica nell’ambito delle attività connesse tipiche dirette alla “fornitura di beni[14] […] mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata.”. Il fondo su cui è ubicato l’impianto diventa dunque la “risorsa”[15] dell’azienda che unitamente agli altri appezzamenti di terreno impiegati nell’attività agricola principale può considerarsi normalmente impiegato nell’attività agricola esercitata. Alla luce di tale principio, in presenza di un’attività agricola principale la produzione di energia da fonte fotovoltaica risulta sempre connessa, a prescindere dal rapporto dimensionale fra produzione agricola principale e produzione di energia.

Alla ricerca di interpretazione armonizzata fra prassi e giurisprudenza

La Sentenza della Corte Costituzionale n. 66 del 2015 ha individuato un diverso criterio di connessione rispetto ai chiarimenti forniti dall’Agenzia Entrate. Ciò ha generato non pochi dubbi interpretativi che, in prima battuta, hanno indotto molti operatori a ritenere superati i criteri forniti dalla Circolare 32/E del 2009.

Con la Risoluzione n. 86/E del 2015 l’Agenzia ha tentato di armonizzare le indicazioni provenienti dalla prassi dell’Amministrazione con i principi dettati dalla giurisprudenza. Nonostante i Giudici costituzionali si fossero discostati in maniera evidente dall’interpretazione che vedeva la produzione di energia fotovoltaica quale attività connessa “atipica”, l’Agenzia ha ritenuto comunque applicabili i criteri di connessione di cui alla Circolare 32/E del 2009. Ma non solo, vista la sentenza della Consulta, ha ritenuto applicabili alla produzione di energia da fonte fotovoltaica le precisazioni contenute nella Circolare n. 44/E del 14 maggio 2002, laddove è stato affermato che, per poter rientrare fra le attività connesse, l’attività di fornitura di beni o servizi da parte dell’imprenditore agricolo non deve aver assunto per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane, la connotazione di attività principale.

Quanto affermato nella Risoluzione 86/E in merito all’applicabilità al fotovoltaico dei criteri di connessione di cui alla Circolare 44/E del 2002 non appare per nulla condivisibile. Infatti, se è vero che in presenza di un’attività agricola principale il terreno su cui è posizionato l’impianto deve essere considerato una “risorsa” normalmente impiegata nell’attività agricola principale, non vi è alcuna necessità di inserire un ulteriore parametro di connessione rispetto a quelli, già forzatamente introdotti, nel tentativo di preservare i dettami di cui alla Circolare 32/E del 2009.

Si ritiene, quindi, che il giusto contemperamento fra prassi e giurisprudenza possa essere attuato considerando l’attività connessa di produzione di energia da fonte fotovoltaica sempre connessa, ai fini civilistici, all’attività agricola principale secondo i criteri ben delineati dalla Corte Costituzionale. Ai fini fiscali, invece, la produzione e la cessione di energia nei limiti della franchigia sarà sempre assorbita nel reddito agrario di cui all’art. 32 del TUIR, mentre la parte eccedente potrà usufruire della tassazione forfettaria (25%) solo nel caso in cui vengano rispettati i parametri di cui alla Circolare 32/E del 2009.

Dal fotovoltaico all’agrivoltaico con l’esigenza di un nuovo inquadramento fiscale

I criteri di connessione di fonte regolamentare contenuti nella Circolare 32/E del 2009 sono evidentemente ispirati a ragioni di opportunità, nel tentativo di dotare gli Uffici periferici di uno strumento di veloce applicazione che consentisse di regolamentare un settore destinato ad una immediata e potenzialmente incontrollata espansione. Alla luce di ciò, non è possibile avere conto di una ponderata ratio logico-giuridica sottesa all’emanazione del provvedimento, tuttavia, da una lettura sistematica dei criteri di connessione di cui alla  Circolare 32/E del 2009, emerge chiaramente come gli stessi siano ispirati alla necessità di preservare l’attività agricola principale, con la precipua finalità di mantenere quel rapporto di “prevalenza” rispetto alla produzione di energia da fonte fotovoltaica che, in linea generale, deve informare tutte le attività agricole connesse di cui all’art. 2135 c.c..

Il parametro della franchigia (260.000 kWh anno), nei limiti della quale la produzione e la cessione di energia è sempre produttiva di reddito agrario, è stato individuato “in considerazione del fatto che l’articolo 2, comma 150, lettera a), della legge 244/2007, ha esteso lo scambio sul posto[16] a tutti gli impianti con potenza nominale media annua non superiore al predetto limite”. È chiaro, dunque, che si è inteso agevolare l’autoconsumo aziendale, quindi la produzione energetica funzionale all’attività agricola.

Pe quanto, invece, concerne i criteri di connessione per l’energia prodotta e ceduta oltre i limiti della franchigia, è necessario evidenziare che gli impianti fotovoltaici realizzati su “strutture aziendali esistenti” (lett.a) non subiscono alcuna limitazione, proprio alla luce del fatto che in questa ipotesi la produzione energetica non sottrae suolo a quella agricola.

Anche per gli impianti a terra vengono individuati parametri di connessione ispirati a preservare l’attività agricola principale. Il parametro ci cui alla lett. b) richiede la “prevalenza” del volume d’affari derivante dell’attività agricola (esclusa la produzione di energia fotovoltaica) rispetto al volume d’affari della produzione di energia fotovoltaica eccedente la franchigia (esclusa la quota incentivo), mentre il parametro di cui alla lett. c) richiede 1 ettaro di terreno utilizzato per l’attività agricola per ogni 10 KW di potenza installata nel limite massimo di 1 MW.

Ebbene, tali parametri non appaiono in linea con i principi che ispirano gli impianti agrivoltaici, che non sottraggono spazio alla produzione agricola e sono funzionali a preserva la continuità dell’attività di coltivazione e pastorale sul sito di installazione, garantendo al contempo la produzione energetica da fonti rinnovabili.

La produzione di energia da fonte agrivoltaica garantisce, dunque, la vocazione agricola dell’impresa in piena sintonia con i principi espressi dalla Corte Costituzione che negli ultimi capoversi della parte motiva della Sentenza n. 66 del 2015 stabilisce che il fondo, quale “risorsa” primaria dell’impresa agricola, anche quando è utilizzato per la collocazione degli impianti fotovoltaici, deve comunque risultare “normalmente impiegato” nell’attività agricola. Secondo i Giudici della Consulta tale requisito risulta immanente nel concetto stesso di connessione ed è coerente con la ratio dell’intera normativa in materia, volta a riconoscere un regime di favore pur in presenza dell’esercizio di attività connesse, purché queste ultime non snaturino la vocazione agricola dell’impressa.

In quest’ottica l’agrivoltaico supera le criticità sollevate dall’Agenzia[17] in merito alla necessità di rispettare i criteri di “prevalenza” e “normale impiego” di cui alla Circolare 44/E del 14 maggio 2022, visto che la convivenza fra attività agricola e produzione di energia rende del tutto superfluo l’utilizzo di parametri volti a verificare il rapporto fra le due attività.

Alla luce delle considerazioni di cui sopra si ritiene che in virtù della normativa vigente e degli orientamenti della prassi e della giurisprudenza, la produzione e la cessione di energia generata da impianti agrivoltaici debba essere considerata sempre connessa all’attività agricola principale e, come tale, i relativi redditi dovranno essere determinati catastalmente nei limiti della franchigia, mentre per la parte eccedente dovrà essere applicato il coefficiente di redditività pari al 25% del volume d’affari al netto dell’eventuale quota incentivo. Al fine di evitare contestazioni generate da documenti di prassi indubbiamente obsoleti e non al passo con le nuove tecnologie di produzione di energia è dunque necessario che l’Amministrazione finanziaria intervenga con nuovi chiarimenti volti ad inquadrare correttamente la produzione di energia da fonte agrivoltaica.



[1] Cons. Stato, Sez. IV, Sent., 30/08/2023, n. 8029: “L’agrivoltaico è un settore di recente introduzione e in forte espansione, caratterizzato da un utilizzo «ibrido» di terreni agricoli, a metà tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica, che si sviluppa con l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici, che non impediscono tuttavia la produzione agricola classica. In particolare, mentre nel caso di impianti fotovoltaici il suolo viene reso impermeabile e viene impedita la crescita della vegetazione, (ragioni per le quali il terreno agricolo perde tutta la sua potenzialità produttiva) nell’agrivoltaico l’impianto è invece posizionato direttamente su pali più alti, e ben distanziati tra loro, in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola. Per effetto di tale tecnica, la superficie del terreno resta, infatti, permeabile e quindi raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola. Alla luce di quanto osservato, non si comprende, pertanto, come un impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola (l’agrivolotaico) possa essere assimilato ad un impianto che produce unicamente energia elettrica (il fotovoltaico), ma che non contribuisce, tuttavia, neppure in minima parte, alle ordinarie esigenze dell’agricoltura. Contrariamente a quanto accade nei progetti che utilizzano la metodica fotovoltaica, infatti, nell’agrivoltaico le esigenze della produzione agricola vengono soddisfatte grazie al recupero, da un punto di vista agronomico, di fondi che versano in stato di abbandono.”.

[2] Linee Guida in materia di Impianti Agrivoltaici, documento prodotto nell’ambito di un gruppo di lavoro coordinato dal MINISTERO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA – DIPARTIMENTO PER L’ENERGIA e composto da CREA – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, GSE – Gestore dei servizi energetici S.p.A., ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, RSE – Ricerca sul sistema energetico S.p.A..

[3] Agenzia delle Entrate, Circolare 32/E del 2009.

[4] L’art. 1, comma 423 della L. 23 dicembre 2005 n. 266 nella sua originaria formulazione prevedeva quanto segue: “Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinno-vabili agroforestali e fotovoltaiche nonché´ di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario”.

[5] L’art. 1, comma 423 della L. 23 dicembre 2005 n. 266 nella sua attuale formulazione prevede quanto segue:Ferme restando le disposizioni tributarie in materia di accisa, la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali, sino a 2.400.000 kWh anno, e fotovoltaiche, sino a 260.000 kWh anno, nonché’ di carburanti e prodotti chimici di origine agroforestale provenienti prevalentemente dal fondo, effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario. Per la produzione di energia, oltre i limiti suddetti, il reddito delle persone fisiche, delle società semplici e degli altri soggetti di cui all’articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e’ determinato, ai fini IRPEF ed IRES, applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, relativamente alla componente riconducibile alla valorizzazione dell’energia ceduta, con esclusione della quota incentivo, il coefficiente di redditività del 25 per cento, fatta salva l’opzione per la determinazione del reddito nei modi ordinari, previa comunicazione all’ufficio secondo le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, n. 442.”.

[6] L’Art. 32 del TUIR, rubricato “Reddito agrario”, stabilisce quanto segue: “Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso.

Sono considerate attività agricole:

a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura;

b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste;

c) le attività di cui al terzo comma dell’articolo 2135 del codice civile, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché’ non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali.

Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, è stabilito per ciascuna specie animale il numero dei capi che rientra nei limiti di cui alla lettera b) del comma 2, tenuto conto della potenzialità produttiva dei terreni e delle unità foraggere occorrenti a seconda della specie allevata.

Non si considerano produttivi di reddito agrario i terreni indicati nel comma 2 dell’articolo 27.”.

[7] Ai sensi di quanto previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 99/2004 sono definite società agricole le società che riportano nella ragione sociale o nella denominazione sociale la dicitura “società agricola” ed hanno quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività di cui all’articolo 2135 del codice civile.

[8] Le società di persone, le società a responsabilità limitata e le società cooperative che rivestono la qualifica di “società agricola” possono optare per la tassazione su base catastale ai sensi di quanto previsto dall’art. 32 del TUIR, in alternativa al regime analitico del reddito d’impresa (articolo 1, comma 1093, Legge n. 296/2006).

[9] Codice Civile Art. 2135: “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

 Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

[10] Mi riferisco in particolare all’autoconsumo, su cui torneremo dettagliatamente in seguito.

[11]La produzione di energia da fonte fotovoltaica, a differenza di quella derivante da fonti agroforestali, non richiede l’utilizzazione di prodotti provenienti dal fondo, bensì necessita della installazione di specifici impianti (pannelli fotovoltaici) in grado di convertire le radiazioni solari in energia elettrica o calorica. Si tratta, dunque, di un’attività connessa “atipica” in quanto il suo svolgimento non richiede all’imprenditore agricolo l’impiego di prodotti derivanti dalla coltivazione del fondo. Tale produzione prescinde, infatti, dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali; ciò nonostante, trattandosi di attività agricola “connessa” presuppone, comunque, un collegamento con l’attività agricola tipica, caratterizzata dalla presenza di un’azienda con terreni coltivati e distinti in catasto con attribuzione di reddito agrario.” Agenzia delle Entrate, Circolare 32/E del 2009.

[12] In sintesi, le soglie per poter connettere la produzione di energia fotovoltaica con l’attività agricola sono state arbitrariamente individuate “ricalcando” sbrigativamente e superficialmente i limiti che sono stati fissati dalla l. n. 244 del 2007 (c.d. “legge finanziaria 2008”) per tutt’altro scopo, segnatamente quello di contingentare le risorse pubbliche impiegate dallo Stato nel programma di sostegno della produzione di elettricità da fonte solare mediante impianti fotovoltaici permanentemente connessi alla rete elettrica, limiti che sono logicamente ispirati da differenti obiettivi, strategie, linee guida e criteri specifici e che sono stati in seguito persino abrogati. Va da se´ che l’incoerenza con la ratio del fotovoltaico in agricoltura e la totale mancanza di una logica giuridica nel contesto del micro-sistema normativo dell’art. 2135 c.c. da sole minano alla radice la ragionevolezza dei criteri di connessione offerti dalla Circolare n. 32/E del 2009. M. Targhini in Diritto e Pratica Tributaria VOL. XCI – N. 2. Marzo – Aprile 2020.

[13] Ai sensi di quanto previsto dall’art. 12 delle preleggi al Codice Civile: “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.

[14] Ai sensi di quanto previsto dall’art. 814 del Codice Civile le “energie naturali che hanno un valore economico” devono essere ricondotte fra i beni “mobili”, conseguentemente la relativa cessione deve essere qualificata quale “fornitura di beni”. In tal senso, C. Fontana, La fiscalità delle imprese agricole, cit., 186; M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, tomo I, Milano, Giuffre` ed., 2010, 613.

[15] Autorevole dottrina ha ragionevolmente evidenziato che il “fondo” nell’impresa agricola non è una “risorsa” ma l’oggetto stesso dell’attività. M. Bagnoli – A. Rocchi, La prevalenza nel fotovoltaico “agricolo”: problemi attuali e prospettive, in Corr. Trib., 2015, 4551 ss.

[16] Lo “scambio sul posto” consente di effettuare una specifica forma di autoconsumo che si basa sull’immissione nella rete elettrica dell’energia prodotta ma non auto consumata, con la possibilità di usufruirne in un momento successivo, utilizzando il sistema elettrico per l’immagazzinamento virtuale dell’energia. In particolare, tale meccanismo permette di ottenere una compensazione in termini economici tra il valore dell’energia prodotta ed immessa in rete e quello dell’energia prelevata e consumata in un periodo diverso da quello in cui avviene la produzione.

[17] Agenzia delle Entrate, Risoluzione 86/E del 15 ottobre 2015:A ben vedere, i giudici costituzionali hanno rigettato la questione di legittimità costituzione, non perché sarebbero stati illegittimi eventuali limiti qualitativi o quantitativi che il legislatore avesse fissato, ma semplicemente perché – sul piano normativo – hanno ritenuto sufficienti a garantire la connessione all’attività agricola principale gli ordinari criteri della “prevalenza” e del “normale impiego”. La prassi amministrativa ha specificato i predetti criteri di “prevalenza” e “normale impiego” al fine di agevolare la verifica della connessione all’attività agricola principale dell’attività di produzione e cessione di energia elettrica da impianti fotovoltaici. Pertanto, anche dopo la predetta pronuncia della Corte Costituzionale, possono ritenersi validi i chiarimenti forniti in passato dall’Agenzia delle Entrate ed in particolare: – le precisazioni contenute nella circolare n. 44/E del 14 maggio 2002, laddove è stato affermato che, per poter rientrare fra le attività connesse, l’attività di fornitura di beni o servizi da parte dell’imprenditore agricolo non deve aver assunto per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane, la connotazione di attività principale”.