Le abitazioni dei dipendenti dell’azienda agricola sono rurali a prescindere dalla loro consistenza

Come noto, l’articolo 9, comma 3-bis, del D.L. n. 557 del 1993 riconosce, ai fini fiscali, la “ruralità” alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile.

Art. 2135 del c.c.: “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

A differenza del precedente comma 3, riguardante le costruzioni ad uso abitativo, la norma pone quale unico requisito quello della loro effettiva destinazione ad una delle attività indicate dal citato articolo 2135 c.c.

Il comma in questione individua, quindi, le varie tipologie di fabbricati strumentali rurali destinati a quelle che possono ritenersi le attività “attualmente” rappresentative del variegato mondo agricolo; “attualmente” intese, perché non si tratta di una elencazione meramente esaustiva delle costruzioni destinate a tali scopi e questo perché, leggendo attentamente la normativa di riferimento (l’espressione: “e in particolare” è di per se indicativa), si evince che sussiste la possibilità di implementare l’elenco, di cui al D.L n. 557/1993, art. 9, comma 3-bis, di nuove fattispecie “strumentali”, correlate a nuove attività agricole connesse, che andranno così  affiancarsi a quelle già individuate dalla norma; questo in funzione, ovviamente, dell’evolversi stesso della tecnologia nel settore agricolo che, al pari degli altri comparti economici, utilizza i moderni ritrovati che la ricerca scientifica mette a disposizione.

D.Lgs. n. 557/1993:

Art. 9, comma 3.

Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare le seguenti condizioni:

  • il fabbricato deve essere utilizzato quale abitazione:
    1. dal soggetto titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale sul terreno per esigenze connesse all’attività agricola svolta;
    2. dall’affittuario del terreno stesso o dal soggetto che con altro titolo idoneo conduce il terreno a cui l’immobile è asservito;
    3. dai familiari conviventi a carico dei soggetti di cui ai numeri 1) e 2) risultanti dalle certificazioni anagrafiche; da coadiuvanti iscritti come tali a fini previdenziali;
    4. da soggetti titolari di trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura;
    5. da uno dei soci o amministratori delle società agricole di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99 aventi la qualifica di imprenditore agricolo professionale;

a-bis) i soggetti di cui ai numeri 1), 2) e 5) della lettera a) del presente comma devono rivestire la qualifica di imprenditore agricolo ed essere iscritti nel registro delle imprese di cui all’articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580.

  • (lettera abrogata);
  • il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario. Qualora sul terreno siano praticate colture specializzate in serra o la funghicoltura o altra coltura intensiva, ovvero il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi dell’articolo 1, il suddetto limite viene ridotto comma 3, della legge 31 gennaio 1994, n. 97 a 3.000 metri quadrati;
  • il volume di affari derivante da attività agricole del soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore alla metà del suo reddito complessivo, determinato senza far confluire in esso i trattamenti pensionistici corrisposti a seguito di attività svolta in agricoltura. Se il terreno è ubicato in comune considerato montano ai sensi della citata legge, il volume di affari derivante da attività agricole del n. 97 del 1994 soggetto che conduce il fondo deve risultare superiore ad un quarto del suo reddito complessivo, determinato secondo la disposizione del periodo precedente. Il volume d’affari dei soggetti che non presentano la dichiarazione ai fini dell’IVA si presume pari al limite massimo previsto per l’esonero dall’articolo 34 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ; ottobre 1972, n. 633;
  • i fabbricati ad uso abitativo, che hanno le caratteristiche delle unità immobiliari urbane appartenenti alle categorie A/1 ed A/8, ovvero le caratteristiche di lusso previste dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 agosto 1969, adottato in attuazione dell’articolo 13 della legge 2 luglio 1949, n. 408 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, non possono comunque essere riconosciuti rurali.

 

Art. 9, comma 3-bis

Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in “particolare” destinate:

  1. alla protezione delle piante;
  2. alla conservazione dei prodotti agricoli;
  3. alla custodia delle macchine agricole, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione e l’allevamento;
  4. all’allevamento e al ricovero degli animali;
  5. all’agriturismo, in conformità a quanto previsto dalla legge 20 febbraio 2006, n. 96;
  6. ad abitazione dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento;
  7. alle persone addette all’attività di alpeggio in zona di montagna;
  8. ad uso di ufficio dell’azienda agricola;
  9. alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;
  10. all’esercizio dell’attività agricola in maso chiuso.”.

Per queste unità immobiliari a destinazione speciale il D.P.R. n. 139/1998, art. 1, comma 5, ha previsto il loro inquadramento nella categoria catastale D/10 (fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole) ad esclusione di quelle unità

immobiliari che, per vocazione e realizzazione, necessitano comunque di una diversa attribuzione di categoria catastale.

L’art. 9, comma 3-bis, lett. f) e h) del citato D.L. n. 557 del 1993 annovera, infatti, fra i fabbricati strumentali agricoli rispettivamente “le abitazioni dei dipendenti esercenti attività agricole nell’azienda a tempo indeterminato o a tempo determinato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento” che “gli uffici dell’azienda agricola” (i quali, per destinazione, sono censiti nella categoria A/10).

Le costruzioni dei “dipendenti”, essendo delle comuni abitazioni, sono parimenti accatastate in una delle categorie del gruppo “A”.

Art. 9, comma 3-ter, D.L. n. 557 del 1993: “Le porzioni di immobili di cui al comma 3-bis, destinate ad abitazione, sono censite in catasto, autonomamente, in una delle categorie del gruppo A”.

Occorre fare presente che quando venne introdotto il decreto istitutivo del “Catasto dei Fabbricati” le abitazioni dei dipendenti non erano qualificate come “strumentali rurali”, bensì rientravano fra quelle comuni unità immobiliari ad uso abitativo per le quali dovevano comunque essere rispettati, ai fini del riconoscimento della predetta “ruralità”, i vincoli imposti dalla normativa in questione. In tal senso, l’art. 9, comma 3, lett. b) del D.L. n. 557/1993, riconosceva la “ruralità” anche alle abitazioni utilizzate dai dipendenti aziendali a condizione che fossero rispettati i requisiti di legge.

Ci si accorse ben presto che i limiti imposti dalla normativa di riferimento rischiavano di penalizzare proprio queste abitazioni

In particolare, quelli riguardanti il rispetto del rapporto fra volume d’affari e reddito. Atteso che è richiesto, ieri come oggi, che il volume d’affari ai fini IVA del soggetto che conduce il fondo deve essere superiore alla metà del suo reddito complessivo, era evidente che i “dipendenti” non erano in grado di assolvere a tale requisito, in quanto privi di partita IVA

per cui con il D.L. n. 159 del 2007, art. 42 bis, sono stati rivisitati i commi 3 e 3-bis dell’art. 9; riformulazione avvenuta, altresì, sulla base delle novità recate dal D.Lgs. n. 228 del 2001 all’art. 2135 c.c., e dall’art. 1 e seguenti del D.Lgs. n. 99 del 2004 che ha introdotto la figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP). 

La revisione generale della normativa ha comportato, quindi, che le abitazioni di tal genere assumessero una diversa connotazione per cui sono state qualificate come “strumentali” all’attività agricola ed inserite nell’ambito del comma 3-bis senza però mutare la categoria catastale; cosa, fra l’altro, impossibile per ovvie considerazioni:

  • perché la norma le definisce come “abitazioni”, e come tali destinate all’alloggio di persone;
  • perché il comma l’art.9, comma 3-ter, prevede il loro accatastamento nella categoria “A”.

In sostanza, gli alloggi dei dipendenti sono delle comuni abitazioni che rientrano però nell’ambito di quelle unità immobiliari, “strumentali” all’attività agricola, che come tali rispondono, in fatto di requisiti, all’unica condizione, richiesta dall’art. 9, comma 3-bis, dalla loro rispondenza alle finalità di cui all’art. 2135 c.c.

Sta di fatto che nella pratica alcuni uffici dell’Agenzia delle Entrate/Territorio, a seguito della richiesta di riconoscimento dei requisiti di ruralità da parte dei titolari di questi immobili, disconoscano la ruralità, con provvedimento del Direttore, sulla base della mancata sussistenza del requisito previsto dal D.L. n. 557/1993, art. 9 comma 3 lettera e), che esclude il riconoscimento della ruralità ai fabbricati che hanno le caratteristiche di lusso previste dal D.M. 2 agosto 1969; la norma richiede, altresì, che gli stessi immobili non siano censiti nelle categorie A/1 (abitazioni di tipo signorile) e A/8  (abitazioni in ville).

La ruralità è accertata dall’Agenzia delle entrate/territorio e negli atti catastali (ad esempio: visure) è inserita l’apposita “annotazione”

Il D.M. 2 agosto 1969, ad esempio, che sono di lusso le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq.  240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) come anche le abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq. di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq.

Ed è quello che si è verificato nei confronti di un’azienda agricola la quale aveva concesso in uso, quale abitazione, un fabbricato ai dipendenti, braccianti agricoli. L’ufficio dell’Agenzia delle Entrate notificava l’avviso di accertamento in oggetto, con cui veniva contestato il mancato riconoscimento del requisito della ruralità, ai sensi dell’art. 9 comma 3, lett. e) D.L. 557/1993; questo perché era stato accertato che il “locale” in poggetto aveva una superficie di 319 mq. superiore cioè al limite di 240 mq. imposto dal D.M 2 agosto 1969.

L’azienda ricorreva, quindi, alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna contestando l’operato dell’ufficio in ragione dell’errore interpretativo in cui era incorso nell’applicare al fabbricato strumentale una causa di esclusione della ruralità, ossia le caratteristiche di lusso, applicabile esclusivamente ai fabbricati abitativi. Infine, rilevava come l’ufficio avesse errato nel disconoscere il carattere di ruralità con efficacia retroattiva, ossia a decorrere dal momento di presentazione della domanda anziché dalla notifica dell’avviso di accertamento con cui viene contestato il diniego.

Più propriamente, la ricorrente rimarcava la differenza sostanziale tra immobile abitativo ed immobile strumentale, evidenziando come il fabbricato in questione non dovesse considerarsi “abitativo” ossia destinato all’uso del coltivatore diretto, ma “strumentale” all’attività agricola poiché dato in uso ai dipendenti. Pertanto, al caso di specie, andava applicata la disciplina prevista dall’art. 9, comma 3-bis, del D.L. 557/1993 e non quella di cui al precedente comma 3.

La CTP di Ravenna, con sentenza n. 247/18 del 15 ottobre 2018, ha accolto il ricorso rilevando, oltre al difetto di motivazione dell’avviso,

“la schietta autonomia delle due ipotesi normative in considerazione: il comma 3 e il comma 3 bis dell’art. 9 del D.L. 557/93, un’impermeabilità delle disposizioni che avrebbe richiesto un giudizio autonomo in merito alla sussistenza o meno dei requisiti richiesti dall’ipotesi di cui al comma 3 bis lett. f); che è cosa altra e diversa dall’aver accertato la sussistenza o meno dei requisiti richiesti dal comma 3 del medesimo articolo. Con riferimento ai fabbricati rurali strumentali, per effetto della “autonoma” previsione (comma 3-bis e non 3, dell’articolo 9 D.L. 557/1993), il requisito è solo oggettivo (Cassazione, sentenze n. 24277/2009 e 24300/2009) dovendo l’immobile essere soltanto destinato allo svolgimento delle attività agricole, a prescindere dal classamento e dalla rendita attribuita e dalle dimensioni del fabbricato. La disposizione di legge, di cui al citato al comma 3-bis dell’articolo 9 D.L. 557/1993, come più volte acclarato anche dalla giurisprudenza (tra le altre, CTR Firenze, sentenza 2003/2014 e CTP Firenze, sentenza 760/2016), non fa alcun riferimento al classamento catastale, al fine del riconoscimento del carattere rurale delle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola, nemmeno quando si tratta di unità abitative, come nel caso delle abitazioni, dei dipendenti (lettera f) enunciando chiaramente e semplicemente che tutte le costruzioni asservite alle attività agricole, di cui all’articolo 2135 cod. civ., sono ai tini fiscali da qualificare come “fabbricati rurali strumentali”. Una destinazione che avrebbe richiesto un accertamento autonomo, specifico da parte dell’ufficio e quindi una motivazione autonoma e specifica sul punto”.

Non si può che condividere tale assunto anche perché l’abitazione “strumentale” in questione è riservata ad una pluralità di soggetti (dipendenti dell’azienda) la cui consistenza (numerica) è solitamente ben superiore a quella del nucleo familiare propriamente detto (per il quale, invece, la richiesta di una superficie dell’abitazione “non eccedente” i 240 mq di superficie è ampiamente giustificabile).

Va rilevato sul punto che il legislatore, con  le modifiche operate alla tassazione dei trasferimenti immobiliari a titolo oneroso (D.Lgs. n. 23/2011, art. 10 e legge n. 147/2013, art. 1, comma 608, (di stabilità per l’anno 2014), ha eliminato, ai fini dell’imposta di registro riguardante le agevolazioni “prima casa”, il riferimento che la normativa faceva al decreto ministeriale del 1969. Lo stesso criterio è stato adottato ai fini IVA.

Il D.Lgs. n. 175 del 2014,art. 33, modificando il n. 21 della tabella A, parte II, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972 nella parte in cui era richiamato il D.M. 2 agosto 1969, ha introdotto anch’esso il criterio catastale quale parametro di valutazione per l’applicazione dell’aliquota agevolata del 4% con il risultato che, anche ai fini di tale imposta, il beneficio “prima casa” è escluso solamente per gli immobili rientranti in una delle suddette categorie A/1, A/8 e A/9.

Permane, invece, il rispetto dei requisiti di qualità intrinseca e di superficie per i fabbricati agricoli ad uso abitativo. L’articolo 9, comma 3, lett. e) del D.L. n. 557 del 1993 esclude, infatti, la “ruralità” per le abitazioni che, oltre ad essere censite nelle categorie catastali A/1 e A/8, presentano le caratteristiche di lusso richiamate dal decreto ministeriale 2 agosto 1969.

Si rammenta, a tale riguardo, il tentativo del legislatore di ovviare a questa “incongruenza normativa” con un emendamento finalizzato ad eliminare, nello specifico, il riferimento al medesimo decreto (D.M. del Ministro dei lavori pubblici del 2 agosto 1969); emendamento che però non ha avuto seguito.

Un ulteriore aspetto riguardante sempre le abitazioni dei dipendenti “agricoli” è quello risolto dall’Agenzia delle entrate (Direzione Centrale Catasto, Cartografia e Pubblicità Immobiliare) in risposta ad una precisa richiesta di chiarimento da parte dalla Provincia autonoma di Trento (Rif: prot.n. 544252 del 6.10.2017).

Il comma 3-bis, lett. f) dispone che i dipendenti sono quelli che svolgono l’attività a tempo determinato o indeterminato per un numero annuo di giornate lavorative superiore a cento, assunti nel rispetto delle norme in materia di collocamento.

In merito al “numero delle giornate lavorative”, è chiarito che, secondo il tenore letterale della norma, non è possibile ipotizzare il “cumulo” delle giornate lavorative di tutti i dipendenti che, lavorando nell’azienda agricola, usufruiscono dell’alloggio, anche in tempi diversi. Pertanto, le “cento giornate lavorative” devono intendersi riferite a ciascun dipendente.

Oltre ai suddetti motivi, vi sono ragioni anche di ordine sistematico posto che per il legislatore il termine di “abitazione” è indicativo di un tipo di utilizzo riconducibile, se non alla dimora abituale, quantomeno non all’alloggio occasionale, per esigenze correlate a lavori di breve durata, stagionali o a carattere saltuario.

Da ultimo, il “numero annuo di giornate lavorative superiore a cento” appare relativo alla durata dell’attività esercitata dai dipendenti a tempo determinato, assunti in conformità alla normativa vigente in materia di collocamento, e non all’utilizzo dell’abitazione.

Si evidenzia come anche la contrattazione collettiva, relativa alle categorie di lavoratori a tempo determinato che vengono assunti per l’esecuzione di più lavori stagionali e/o per più fasi lavorative nell’anno, preveda un analogo riferimento temporale, in termini di numero minimo di giornate di lavoro. Cfr. CCNL 2016/2021, articolo 10: “L’assunzione a tempo determinato può avvenire con contratto di lavoro a termine: – per l’esecuzione di lavori di breve durata, stagionali o a carattere saltuario, o per fase lavorativa, o per la sostituzione di operai assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione del posto (vedi lettera “a” artt. 18 e 19); – per l’esecuzione di più lavori stagionali e/o per più fasi lavorative nell’anno, con garanzia di occupazione minima superiore a 100 giornate annue, nell’arco di 12 mesi dalla data di assunzione (vedi lettera “b” artt. 18 e 19);  – di durata superiore a 180 giornate di effettivo lavoro, da svolgersi nell’ambito di un unico rapporto continuativo (vedi lettera “c” artt. 18 e 19)”.

              Luigi Cenicola

    Vanni Fusconi

1 – Si evidenzia come anche la contrattazione collettiva, relativa alle categorie di lavoratori a tempo determinato che vengono assunti per l’esecuzione di più lavori stagionali e/o per più fasi lavorative nell’anno, preveda un analogo riferimento temporale, in termini di numero minimo di giornate di lavoro. Cfr. CCNL 2016/2021, articolo 10: “L’assunzione a tempo determinato può avvenire con contratto di lavoro a termine: – per l’esecuzione di lavori di breve durata, stagionali o a carattere saltuario, o per fase lavorativa, o per la sostituzione di operai assenti per i quali sussista il diritto alla conservazione del posto (vedi lettera “a” artt. 18 e 19); – per l’esecuzione di più lavori stagionali e/o per più fasi lavorative nell’anno, con garanzia di occupazione minima superiore a 100 giornate annue, nell’arco di 12 mesi dalla data di assunzione (vedi lettera “b” artt. 18 e 19);  – di durata superiore a 180 giornate di effettivo lavoro, da svolgersi nell’ambito di un unico rapporto continuativo (vedi lettera “c” artt. 18 e 19).”.