
14 Mag Fotovoltaico: sempre più a rischio la connessione con l’azienda agricola
di Vanni Fusconi, Avvocato
e Massimiliano Mercuri, Dottore commercialista
La produzione di energia da fonte fotovoltaica non conosce pace, soprattutto dal punto di vista fiscale: una normativa a dir poco lacunosa, infatti, lascia spazio a pseudo interpretazioni che mal si conciliano con la ratio stessa della norma e che poco attengono a quello che dovrebbe essere lo spirito che muove l’attività di accertamento svolta dall’Amministrazione, cioè la ricerca dell’effettiva capacità contributiva.
Un caso emblematico di come l’esigenza di gettito possa travalicare non solo la norma, ma anche il buon senso, è quello relativo alle contestazioni legate al disconoscimento della connessione fra la gestione di un impianto fotovoltaico e l’attività agricola principale ogniqualvolta quest’ultima si estrinsechi in un’attività di allevamento in soccida con opzione per la monetizzazione.
Secondo questa tesi, i compensi in denaro percepiti dal soccidario non possono essere presi in considerazione ai fini della verifica dei criteri di connessione, in quanto non soggetti ad IVA. Ciò, alla luce del fatto che la Circolare n. 32/E del 2009 al paragrafo 4, punto 2. lett. b), fa riferimento al concetto di “volume d’affari” di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 633/1972, in cui non rientrano le operazioni non soggette ad IVA.
Non è necessario scomodare un fine interprete per rendersi conto che una siffatta argomentazione, volta a non considerare tutti i ricavi dell’attività agricola principale ai fini della verifica della “prevalenza”, è il frutto di uno sforzo interpretativo che poco c’entra con la ricerca dell’effettiva capacità contributiva. Ciononostante, vista la complessità della materia, prima di entrare nel merito dell’erroneità di tali rilievi, è opportuno svolgere alcune considerazioni sul corretto inquadramento civilistico e fiscale dell’attività agricola di allevamento, anche se svolta in qualità di soccidario e della connessa attività di produzione di energia da fonte fotovoltaica.
L’ATTIVITÀ AGRICOLA DI ALLEVAMENTO – L’art. 1 del D. Lgs. n. 228/2001, rubricato “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”, ha riscritto l’art. 2135 c.c., innovando in modo deciso e decisivo la vecchia formulazione: è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.
Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge .
Per quanto concerne le attività agricole principali (delle connesse ci occuperemo in seguito), la disposizione in esame ha avuto una straordinaria portata innovativa: infatti, il legislatore, con l’introduzione della locuzione che utilizzano o possono utilizzare il fondo, ha superato il vincolo di connessione con la terra, consentendo di qualificare come agricoli anche quegli allevamenti che prima della riforma venivano considerati industriali. Non è perciò più il normale ciclo agrario che scandisce l’appartenenza di una attività all’agricoltura, ma la cura e lo sviluppo di un ciclo biologico di carattere vegetale o animale o di una fase essenziale dello stesso.
I principi espressi dalla riforma del 2001 sono stati recepiti dal legislatore fiscale che all’art. 32 comma 2 lett. b) del TUIR ha stabilito che sono considerate attività agricole: […] l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione stessa insiste; […].
Il reddito di allevamento può essere determinato:
- in base al reddito agrario, se il terreno è potenzialmente sufficiente a produrre almeno un quarto del mangime necessario;
- in base ai coefficienti previsti dall’art. 56, comma 5, del TUIR qualora il terreno sia insufficiente;
- in base alle risultanze del bilancio, se l’allevamento è condotto senza terra o per effetto di opzione in dichiarazione dei redditi.
IL CONTRATTO DI SOCCIDA – La soccida è un contratto associativo disciplinato dall’art. 2170 del Codice Civile in cui il soccidante e il soccidario, cioè le parti contrattuali, si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse al fine di ripartire l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utilità che ne derivano (art. 2170 c.c.).
Art. 2170 c.c.:
1 Nella soccida il soccidante ed il soccidario si associano per l’allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l’esercizio delle attività connesse, al fine di ripartirne l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano.
2. L’accrescimento consiste tanto nei parti sopravvenuti, quanto nel maggior valore intrinseco che il bestiame abbia al termine del contratto.
La funzione del contratto di soccida consiste nell’associare colui che dispone degli animali, denominato soccidante, con colui che ha i mezzi necessari per l’allevamento stesso, in modo da creare una comunanza di interessi, di guadagni e di rischi, in vista del conseguimento di un unico fine che è costituito dal miglior rendimento del bestiame conferito. Si tratta di una stretta collaborazione economica; pertanto il contratto di soccida rientra nell’alveo dei contratti agrari di natura associativa con comunione di scopo.
Il soccidante conferisce il bestiame (conferimento del godimento e non della proprietà) e si occupa della direzione dell’impresa, mentre il soccidario presta il lavoro per la custodia e l’allevamento degli animali, per la lavorazione dei prodotti.
Presupposto fondamentale affinché si tratti di contratto di soccida è la circostanza che il soccidario abbia una sufficiente autonomia imprenditoriale e riceva, alla fine del ciclo, una parte di animali a titolo di accrescimento, che potrà anche essere trasformata in una somma di denaro. In quest’ultima ipotesi la soccida viene definita “monetizzata” e i relativi compensi non sono soggetti ad IVA.
Risoluzione Ministeriale n. 504929 del 07/12/1973: l’equivalente in denaro, anticipato dal soccidante a titolo di ripartizione dei frutti ovvero del prezzo ricavato dalla vendita dei frutti stessi, può considerarsi come quota spettante al soccidario a titolo di assegnazione, e pertanto non soggetto ad imposta sul valore aggiunto, sempreché tale alternativa sia prevista dal contratto di soccida intercorrente tra le parti.
A prescindere dall’opzione per la monetizzazione, il soccidario riveste la qualifica di imprenditore agricolo in quanto, in virtù del contratto di soccida, esercita l’attività agricola primaria di allevamento di animali di cui all’art. 2135 c.c.; attività che si concretizza nella cura e nello sviluppo del ciclo biologico degli animali o di una fase essenziale dello stesso; attività di allevamento che, come sopra detto, può essere svolta anche con un collegamento solo potenziale con il terreno agricolo.
Ai fini delle imposte sui redditi, il terreno da prendere quale riferimento per determinare il numero dei capi rientranti nel reddito agrario è quello del soccidante in quanto, di norma, i mangimi sono da esso conferiti (Risoluzione 26/07/1979, n. 1266).
Tuttavia, autorevole dottrina ritiene che anche il reddito agrario del soccidario possa essere considerato, in quanto il soccidario apporta lavoro organizzato.
L’ATTIVITÀ AGRICOLA CONNESSA DI PRODUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA DA FONTE FOTOVOLTAICA
La normativa di riferimento: l’art. 1, comma 423, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (c.d. “Legge Finanziaria 2006”), così come riformulato dall’art. 1, comma 369, della Legge n. 296/2006 (c.d. “Legge Finanziaria 2007”), ha disposto che la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche (…) effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile e si considerano produttive di reddito agrario.
La norma contenuta nella Finanziaria 2006 ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova tipologia di attività connessa da aggiungere a quelle di derivazione codicistica ed elencate nell’art. 2135 c.c..
Il legislatore, nel sancire l’”agrarietà” di queste attività, abbozza un tentativo di sistematizzazione della materia distinguendo tra:
- produzione e cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche;
- produzione e cessione di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo;
- produzione e cessione di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo.
Come è evidente dalla lettura della norma, per il “primo gruppo” di agroenergie manca un riferimento parametrico per la “prevalenza”, che viene, invece, chiaramente enunciato per gli altri due “gruppi” per i quali tale indicatore può facilmente essere ancorato alla produzione proveniente dal fondo, in quanto con questo direttamente confrontabile.
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/E del 2009: il silenzio della legge in merito ai criteri per determinare la connessione con l’attività agricola principale ha reso necessario un intervento interpretativo da parte dell’amministrazione finanziaria.
1 – Tosoni-Preziosi, Agricoltura e fisco, VI° Edizione, pag. 168.
Dai chiarimenti della Consulta possono essere estrapolati i seguenti principi:
- la produzione di energia da fonte fotovoltaica è inquadrabile nell’ambito della fornitura di beni di cui al comma 3 dell’art. 2135 c.c.;
- il terreno, quando è utilizzato per l’installazione di un impianto fotovoltaico, può considerarsi come “normalmente” impiegato nell’attività agricola; ne consegue che in presenza di un’attività agricola principale l’attività fotovoltaica deve sempre essere considerata connessa, purché non snaturi la vocazione agricola dell’impresa.
Il pronunciamento della Consulta mal si concilia con i chiarimenti dettati dalla Circolare n. 32/E del 2009, poiché se è vero che il terreno su cui è collocato l’impianto è normalmente impiegato nell’attività agricola, in presenza di una qualsiasi attività agricola principale e a prescindere dal volume d’affari dalla stessa prodotto, la produzione di energia dovrebbe in ogni caso considerarsi ricompresa nella determinazione del reddito su base catastale.
In realtà si hanno parecchi dubbi sull’interpretazione offerta dalla Consulta, poiché equiparare il terreno ad una attrezzatura agricola, alla stregua del trattore, precisando che lo stesso se adibito all’installazione di un impianto fotovoltaico può considerarsi “normalmente” impiegato nell’attività agricola, pone in realtà il fianco a numerose storture che avremo modo di analizzare in futuro su questa stessa rivista.
Senza allontanarci troppo dal caso in esame occorre però evidenziare che l’amministrazione finanziaria ha cercato di porre rimedio ai dubbi creati dall’interpretazione delle leggi offerta dai Giudici e, con la Risoluzione n. 86/E del 2015, ha chiarito che i giudici costituzionali hanno rigettato la questione di legittimità costituzione, non perché sarebbero stati illegittimi eventuali limiti qualitativi o quantitativi che il legislatore avesse fissato, ma semplicemente perché – sul piano normativo – hanno ritenuto sufficienti a garantire la connessione all’attività agricola principale gli ordinari criteri della “prevalenza” e del “normale impiego.
La prassi amministrativa ha specificato i predetti criteri di “prevalenza” e “normale impiego” al fine di agevolare la verifica della connessione all’attività agricola principale dell’attività di produzione e cessione di energia elettrica da impianti fotovoltaici.
Pertanto, anche dopo la già menzionata pronuncia della Corte Costituzionale, possono ritenersi validi i chiarimenti forniti in passato dall’Agenzia delle Entrate ed in particolare:
– le precisazioni contenute nella Circolare n. 44/E del 14 maggio 2002, laddove è stato affermato che, per poter rientrare fra le attività connesse, l’attività di fornitura di beni o servizi da parte dell’imprenditore agricolo non deve aver assunto per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane, la connotazione di attività principale;
– i criteri di connessione con l’attività agricola individuati dal Ministero per le politiche agricole e forestali e recepiti nella Circolare n. 32/E del 2009.
L’iter logico dell’Ufficio è impeccabile se non per un piccolo particolare, i limiti “quantitativi o quantitativi” non sono mai stati fissati dal legislatore il quale, lo si ricorda, si è limitato a stabilire la connessione della produzione di energia con l’attività agricola principale definendo poi i criteri per la tassazione. Allo stato attuale i parametri di connessione sono meramente di fonte interpretativa, non di fonte normativa, cioè una semplice opinione dell’Amministrazione.
Ebbene, non vogliamo spingerci fino al punto di disattendere quelli che sono i chiarimenti offerti dalla Circolare n. 32/E del 2009, in quanto privi della necessaria dignità normativa, ma se è opportuno che il contribuente, al cospetto del colpevole silenzio del legislatore, segua la linea interpretativa dettata dall’Agenzia (perlomeno per non incorrere in accertamenti) è altrettanto opportuno che l’Amministrazione non abusi del potere che si è arrogata elevandosi a grado di legislatore fiscale.
LA SOCCIDA MONETIZZATA LEGITTIMA LA CONNESSIONE CON L’ATTIVITÀ FOTOVOLTAICA
La tesi sostenuta da alcuni Uffici dell’Amministrazione Finanziaria secondo cui il compenso in denaro percepito dal soccidario non può essere preso in considerazione al fine di integrare il requisito di cui al paragrafo 4, punto 2. lett. b) della Circolare n. 32/2009, in quanto non soggetti ad IVA, è evidentemente contraddittorio: non si comprende, infatti, come si possa riconoscere la piena legittimità dell’attività agricola principale dell’attività di allevamento in soccida (la monetizzazione è una semplice opzione offerta al soccidario) per poi giudicare irrilevanti gli unici redditi derivanti da tale attività ai fini del computo della prevalenza.
In altre parole, se come chiarito dalla Risoluzione n. 86/E del 2015 il parametro di cui al punto 2. lett. b) della Circolare n. 32/E del 2009 è funzionale ad offrire un criterio per la determinazione della “prevalenza” (evidentemente in termini economici) fra attività di produzione di energia e attività agricola di allevamento, come può l’Ufficio non considerare i ricavi derivanti dall’attività agricola principale al fine di effettuare tale valutazione?
La risposta a questo interrogativo è semplice: anche ad un osservatore distratto, infatti, non può sfuggire come, quella fornita dall’Ufficio, sia in realtà una “pseudo argomentazione”, basata su un’interpretazione errata del concetto di prevalenza che indubbiamente non può denotare una sana tendenza all’acquisizione del gettito.
È chiaro, infatti, che una siffatta interpretazione travalica la ratio legis dell’art. 2135 c.c. e si pone in netto contrasto con quelli che sono stati gli intenti interpretativi del Ministero delle Politiche Agricole confluiti nella nota prot. n. 3896 del 27 luglio 2008 e recepiti dalla Circolare n. 32/E del 2009.
Ebbene, il Ministero quando ha definito il criterio di cui al citato punto 2, lett. b) ha evidentemente inteso adottare un criterio “economico” al fine di determinare la prevalenza dell’attività agricola principale. La finalità era indubbiamente quella di verificare l’esistenza di un’attività agricola principale in grado di produrre ricavi maggiori rispetto all’attività agricola connessa di vendita dell’energia, avendo avuto premura l’interprete di escludere i contributi legati all’incentivo.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione, il richiamo operato al “volume d’affari” non è legato alla necessità di ancorare la valutazione della prevalenza alle operazioni rilevanti ai fini IVA, ma alla necessita di individuare un parametro che possa essere sintomatico dell’effettiva attività svolta dalla società. In un settore in cui la maggioranza delle imprese (aziende agricole individuali e società semplice) non è tenuta alla redazione del bilancio e determina il reddito su base catastale, quindi in maniera figurativa, il volume d’affari può rappresentare un indice adeguato all’individuazione dei ricavi inerenti a ciascuna delle attività svolte.
Ciononostante, i compensi percepiti dall’attività di soccida monetizzata, in quanto diretta espressione dei proventi percepiti dall’attività agricola principale, non possono essere esclusi da tale computo, poiché una siffatta interpretazione travalicherebbe le stesse finalità a cui ha inteso giungere il MIPAAF con la richiamata Circolare n. 32/E del 2009.