CARBON CREDIT IN AGRICOLTURA: UN’OPPORTUNITÀ DA COLTIVARE ANCHE AI FINI FISCALI

di Vanni Fusconi - Pubblicato sulla Rivista n. 04 2025 di ConsulenzaAgricola.it

L’agricoltura del XXI secolo non si limita più alla sola funzione produttiva di beni alimentari.

Il paradigma della agricoltura multifunzionale, introdotto già durante l’Earth Summit di Rio del 1992 e successivamente consolidato nel contesto europeo con Agenda 2000, definisce un modello agricolo capace di generare beni pubblici e servizi ecosistemici a beneficio dell’intera collettività. Secondo l’OCSE, questa nuova dimensione agricola, oltre a produrre cibo, contribuisce alla tutela del paesaggio, alla protezione ambientale, alla conservazione della biodiversità, alla gestione sostenibile delle risorse naturali, al sostegno socio-economico delle aree rurali e alla garanzia della sicurezza alimentare.

Il concetto, formalmente recepito in Italia con il Decreto Legislativo n. 228/2001, ha aperto la strada a una configurazione giuridica evoluta dell’impresa agricola, non più vincolata unicamente alla produzione primaria, ma capace di offrire servizi ambientali, educativi, turistici e sociali. È proprio all’interno di questa cornice di multifunzionalità che si inserisce in modo naturale la tematica dei crediti di carbonio (carbon credit), oggi riconosciuta come una delle leve strategiche per la transizione ecologica.

Nell’ambito nazionale il legislatore fiscale è intervento con la Legge Delega n. 111 del 9 agosto 2023 dedicata alla revisione del sistema tributario. Il secondo dei principi e criteri direttivi enunciati dalla Legge Delega[1] dispone “la riconducibilità dei redditi relativi ai beni, anche immateriali, derivanti dalle attività di coltivazione e allevamento che concorrono alla tutela dell’ambiente e alla lotta ai cambiamenti climatici, ai redditi ottenuti dalle attività agricole di cui all’articolo 2135, primo comma, del codice civile assoggettati ad imposizione semplificata”. Nella relazione al disegno di Legge delega viene precisato che tra le fattispecie che potrebbero rientrare nell’ambito applicativo della disposizione vi è la cessione dei crediti di carbonio ottenuti mediante la “cattura di CO2”. Anche in tal caso, appare chiaro il collegamento tra i principi espressi dall’Europa volti ad affrontare i cambiamenti climatici e l’evoluzione dell’azienda agricola, attuata anche mediate strumenti giuridici fiscali indubbiamente favorevoli.

Per incentivare e valorizzare le pratiche di gestione agricola e forestale sostenibili che incrementano la capacità di assorbimento del carbonio atmosferico (aggiuntive rispetto agli obblighi previsti dalla normativa europea e nazionale) l’art. 45 del Decreto legge 24/02/2023, n. 13[2] ha istituito il Registro pubblico dei crediti di carbonio. Questo Registro ha natura volontaria e si colloca presso il Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (CREA). Vi confluiscono i crediti di carbonio generati da imprese agroforestali nazionali, e sono utilizzabili esclusivamente all’interno di un mercato volontario nazionale. I crediti iscritti nel Registro volontario non sono ammessi né nel mercato europeo delle quote di emissione (EU ETS) regolato dal D.Lgs. 9 giugno 2020, n. 47, né nel sistema di compensazione delle emissioni del trasporto aereo internazionale (CORSIA), definito dal Regolamento (UE) 2017/2392.

 

Il Decreto 13/2023, ha disposto che entro 180 giorni dalla conversione in legge del decreto, il Ministro dell’Agricoltura, di concerto con il Ministro dell’Ambiente, e previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, è tenuto a emanare un decreto con le linee guida al fine di definire i criteri di certificazione dei crediti e stabilire le modalità di gestione del Registro nell’ambito del Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN), in coerenza con i dati presenti nei fascicoli aziendali. Successivamente, entro 60 giorni dall’entrata in vigore di tale decreto, dovrà essere adottato un secondo decreto che disciplini le modalità operative di iscrizione, aggiornamento e controllo dei crediti registrati.

Con l’art. 45 del D.L. n. 13/2023 l’Italia ha istituito un sistema nazionale per la certificazione dei crediti di carbonio agro-forestali, ponendo le basi per un mercato volontario domestico di carbon credit. Tali crediti dovranno necessariamente essere generati da imprese che adottano pratiche sostenibili in grado di aumentare la capacità di sequestro del carbonio atmosferico. Le aziende agricole multifunzionali, strutturate per operare in chiave ambientale e sociale, si configurano, dunque, come attori ideali per partecipare a questo nuovo meccanismo economico.

La valorizzazione delle funzioni ecosistemiche dell’agricoltura, come il sequestro del carbonio attraverso pratiche agronomiche virtuose (cover crops, rotazioni lunghe, agricoltura conservativa, agroforestazione, ecc.), consente di riconoscere un valore economico tangibile a prestazioni che fino a ieri erano considerate esternalità positive. I carbon credit certificati potranno così essere registrati e scambiati in un mercato volontario, seppur attualmente esclusi dal circuito europeo ETS (Emission Trading System), come previsto dall’articolo 45, comma 2-quinquies della Legge 41/2023[3].

Tuttavia, nonostante le premesse normative, il sistema italiano di gestione dei crediti di carbonio risulta ancora in fase di definizione, a causa delle lungaggini per l’approvazione delle linee guida operative da parte dei Ministeri competenti (Masaf e Mase). Questo rallentamento rischia di compromettere una straordinaria opportunità per il settore primario, infatti i carbon credit agro-forestali possano rappresentare una fonte innovativa e stabile di reddito, integrativa rispetto ai tradizionali strumenti della PAC 2023-2027.

Come già anticipato, la multifunzionalità dell’impresa agricola viene incentivata anche dal punto vista fiscale attraverso le modifiche apportate al testo unico delle imposte sui redditi. Il D.L 194 del 2024 ha aggiunto la lettera b-ter) all’art. 32 comma 2 del TUIR[4]. Quest’ultima disposizione stabilisce che: “le attività dirette alla produzione di beni, anche immateriali, realizzate mediante la coltivazione, l’allevamento e la silvicoltura che concorrono alla tutela dell’ambiente e alla lotta ai cambiamenti climatici, nei limiti dei corrispettivi delle cessioni di beni, registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, derivanti dall’esercizio delle attività di cui all’articolo 2135 del codice civile;”.

Il Legislatore fiscale ha collocato la produzione e la cessione dei crediti di carbonio nell’ambito dell’attività agricola, riconoscendo la possibilità di usufruire della determinazione del reddito su base catastale (art. 32 del TUIR) solo nel limite dei corrispettivi delle cessioni di beni, registrate e soggette a registrazione ai fini IVA. L’eventuale eccedenza determina un reddito d’impresa per il quale trova applicazione la disciplina nel nuovo art. 56-bis, comma 3-ter del TUIR[5], in base al quale “Il reddito derivante dalla produzione e cessioni di beni di cui all’articolo 32, comma 2, lettera b)-ter, oltre il limite ivi indicato, è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto il coefficiente di redditività del 25 per cento”.[6]

Per la parte eccedente il volume di affari generato dalle cessioni di beni derivanti dall’esercizio delle attività agricole, il legislatore ha dunque previsto un criterio di determinazione forfettaria del reddito, simile a quello delle energie rinnovabili; tuttavia, resta da capire quali possano essere le conseguenze nell’ipotesi in cui per un determinato periodo di imposta il volume d’affari relativo alla cessione dei prodotti agricoli sia pari a zero. Un’ipotesi tutt’altro che remota, poiché la capacità di trattenere CO2 è insita nell’esistenza stessa delle piante ed è del tutto indipendente dalla circostanza che le stesse siano o meno in grado di produrre frutti che, solo nell’ipotesi in cui vengano ceduti, producono volume d’affari ai fini IVA rilevante ai fini di determinare del criterio in esame. Si pensi, ad esempio, ad un uliveto che generalmente inizia a produrre le prime modeste produzioni dopo circa 3 – 4 anni. È chiaro che nei primi anni di vita l’impianto l’azienda agricola non genererà alcun volume d’affari dalla produzione primaria, tuttavia le piante seppur di modeste dimensioni saranno comunque in grado di trattenere CO2 e quindi di generare crediti di carbonio. Le stesse valutazioni si applicano anche nel caso in cui, a causa di eventi meteorologici, si perda l’intera produzione di impianti già completamente produttivi.

Oltre a ciò, occorre evidenziare come l’art. 32, comma 2 lett. b)-ter del TUIR faccia esplicito riferimento al concetto di “cessione di beni”, conseguentemente non concorreranno a determinare il volume d’affari rilevante ai fini della ricomprensione nell’art. 32 del TUIR dei proventi da cessione di beni immateriali, le operazioni rilevanti ai fini IVA derivanti dalla fornitura di beni e servizi di cui al terzo comma dell’art. 2135 del codice civile. Una scelta condivisibile, tesa, evidentemente, ad evitare speculazioni e che riconduce il carbon farming a quella forma di integrazioni del reddito strettamente correlata all’attività agricola principale di coltivazione.

A parere di chi scrive la cessione di crediti di carbonio deve essere considerata un’attività agricola connessa all’attività principale di coltivazione delle piante, frutto della cura e dello sviluppo di almeno una fase essenziale del ciclo biologico della pianta o dell’allevamento dell’animale, senza la quale, ovviamente, non vi potrebbe nemmeno essere la possibilità di trattenere CO2. Alla luce di ciò, si ritiene che i redditi derivanti dalla cessione di beni immateriali possano usufruite della tassazione forfettaria nella misura del 25% anche nel caso in cui l’impianto non sia ancora entrato in produzione. Seguendo questa interpretazione, all’azienda agricola verrebbe garantita una forma di “integrazione” del reddito comunque sottoposta ad un regime di tassazione agevolato che le consentirebbe di sopperire all’assenza di produzione.

Occorre in ogni caso sempre ricordare che le attività agricole connesse hanno ragione di esistere solo nell’ipotesi in cui esiste un’attività agricola principale di coltivazione, allevamento o selvicoltura. Questo principio è di fondamentale importanza e fa sì che il carbon farming non possa in nessun modo essere considerato un’attività agricola ed usufruire del relativo regime fiscale di favore, ogni qual volta non si sia in presenza di un’attività colta alla cura e allo sviluppo di almeno una fase del ciclo biologico delle piante.

Dovrà quindi escludersi la riconducibilità del carbon farming nell’ambito delle attività agricole connesse, sia ai fini civilistici che fiscali, nel caso in cui l’imprenditore agricolo sia titolare di cento ettari di bosco ceduo senza svolgere alcuna attività agricola principale di “coltivazione” del bosco. La selvicoltura, infatti, pur costituendo una forma specifica della coltivazione del fondo, assume autonoma rilevanza quale attività agricola, a condizione che si concretizzi non nella mera estrazione di legname, ma in un’attività tecnico-economica sistematica, autorizzata e disciplinata dagli organi competenti, volta alla coltivazione, al governo e alla conservazione del bosco nel rispetto dei cicli naturali e produttivi, secondo una logica di sostenibilità finalizzata a preservare il bosco stesso.

In buona sostanza, l’attività di vendita di piante in piedi, qualora il taglio sia effettuato dal soggetto acquirente per finalità di commercializzazione, non costituisce esercizio di selvicoltura bensì attività commerciale ai fini fiscali e civilistici, in quanto manca l’elemento della gestione biologica dell’imprenditore agricolo proprietario del bosco.

In conclusione, il credito di carbonio si configura come una leva strategica di sostenibilità e valorizzazione economica per il settore agricolo, in grado di coniugare pratiche virtuose di gestione ambientale con nuove forme di reddito per le imprese agricole. Tuttavia, affinché tale opportunità si possa effettivamente concretizzare, è necessario che vengano approvate le linee guida necessarie a definire le modalità di certificazione dei crediti e di gestione del registro nell’ambito del sistema informativo agricolo nazionale, oltre all’individuazione delle modalità di iscrizione, aggiornamento e controllo dei crediti registrati.

 

 

[1] Legge 111/2023, articolo 5, c.1, lett, b), punto 2).

[2] Decreto Legge 24 febbraio 2023 n. 13, convertito con la Legge 21 aprile 2023 n. 41.

[3] Legge 41/2023 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13”.

[4] Disposizione modificata dall’art. 1, comma 1, lett. b), n. 3), D.Lgs. 13 dicembre 2024, n. 192; tale disposizione si applica ai redditi prodotti a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024, data di entrata in vigore del medesimo D.Lgs. n. 192/2024, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 2, del citato D.Lgs. n. 192/2024.

[5] Disposizione modificata dall’art. 1, comma 1, lett. e), n. 2), D.Lgs. 13 dicembre 2024, n. 192; tale disposizione si applica ai redditi prodotti a partire dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024, data di entrata in vigore del medesimo D.Lgs. n. 192/2024, ai sensi di quanto disposto dall’art. 1, comma 2, del citato D.Lgs. n. 192/2024.

[6] Con l’inserimento della lett. b-ter) al secondo comma dell’art. 32 del Tuir viene superato l’orientamento dell’Agenzia delle entrate, che, con la risposta a interpello n. 356/2020, aveva stabilito che, “in assenza di una norma che espressamente qualifichi come attività connessa a quella agricola l’operazione oggetto della presente istanza, come diversamente è avvenuto per produzione di energia fotovoltaica ai sensi dell’art. 1, comma 423 della Legge 23 dicembre 2005, n. 266, ovvero in mancanza di un quadro di regolamentazione secondaria (che esula dalle competenze della scrivente) che disponga l’assimilazione della stessa alle attività agricole connesse, la cessione a terzi delle quote/titoli di CO2 prodotti volontariamente dal …, non è in alcun modo riconducibile alla ‘fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata’, di cui al comma 3 dell’art. 2135 del Codice civile”.