15 Mar ASPETTI FISCALI DEL CONTRATTO DI RETE IN AGRICOLTURA
di Vanni Fusconi - Pubblicato sulla Rivista n. 03 2025 di ConsulenzaAgricola.it
Il contratto di rete, introdotto dall’art. 3, comma 4-ter del D.L. n.5 del 2009[1], rappresenta uno strumento molto interessante al fine di incentivare la collaborazione tra imprese e favorire processi di aggregazione.
Nell’ambito di questa disciplina, uno degli interventi più significativi per il settore agricolo è rappresentato dall’articolo 1-bis, comma 3, del D.L. n. 91 del 24 giugno 2014[2], che ha previsto una regolamentazione specifica per i contratti di rete stipulati tra imprenditori agricoli, con lo scopo di promuovere la modernizzazione del settore, stimolare la capacità innovativa, nonché migliorare la competitività delle imprese agricole.
Questa normativa introduce un importante principio: all’interno di una rete agricola, le imprese partecipanti possono esercitare un’attività produttiva in comune e ripartire i prodotti ottenuti direttamente in natura secondo le percentuali stabilite nel contratto. La disposizione stabilisce che tale suddivisione avvenga a titolo originario, garantendo così che ogni impresa retista acquisisca direttamente la quota di prodotto ad essa spettante, senza necessità di ulteriori atti di trasferimento.
Lo strumento contrattuale della rete agricola risponde, dunque, all’esigenza di favorire l’aggregazione e la cooperazione tra imprese del settore primario, consentendo loro di integrare le rispettive attività e di competere più efficacemente sui mercati. La possibilità di mettere in comune risorse produttive, mezzi tecnici e know-how consente alle imprese retiste di ottenere economie di scala e di accedere a opportunità commerciali altrimenti precluse alle singole aziende.
L’art. 1-bis, comma 3, del D.L. n. 91 del 24 giugno 2014, introduce un quadro normativo di grande interesse, ma al tempo stesso caratterizzato da un’eccessiva genericità. Da un lato, il riferimento alla ripartizione del prodotto a “titolo originario” richiama elementi e vantaggi tipici dei contratti associativi; dall’altro, la norma non fornisce indicazioni precise sui requisiti necessari affinché tale beneficio possa effettivamente realizzarsi.
Dal punto di vista civilistico e fiscale, la ripartizione a titolo originario permette all’impresa agricola di considerare i prodotti ottenuti nell’ambito del contratto di rete come frutto della propria attività agricola principale di cui all’art. 2135 del Codice Civile. Tale caratteristica è di fondamentale importanza poiché consente all’impresa retista di commercializzare direttamente[3] i prodotti derivanti dall’attività di rete senza perdere il requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole[4], presupposto essenziale per il mantenimento della qualifica di IAP[5] e per l’esercizio dell’opzione per la determinazione del reddito su base catastale[6].
Dal punto di vista fiscale la vendita dei prodotti ottenuti a titolo originario non solo rientra nell’ambito applicativo dell’art. 32 del TUIR che consente di determinare i relativi redditi su base catastale, ma incrementa anche il plafond della prevalenza. Questo principio consente all’imprenditore agricolo di trasformare o manipolare[7] anche prodotti acquistati da terzi, nei limiti della prevalenza, senza perdere il beneficio della determinazione catastale del reddito.
Ai fini IVA la ripartizione a titolo originario non determina l’emersione di alcuna operazione imponibile ed inoltre consente all’impresa assegnataria ed in presenza dei necessari requisiti[8], di poter applicare il regime speciale IVA di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72.
Al fine di usufruire dei benefici di cui sopra occorre ovviamente che la rete sia costituita sotto forma di “rete contratto” che consente alle imprese partecipanti di mantenere la propria autonomia giuridica e fiscale. Infatti, l’adesione alla rete contratto non comporta l’estinzione, né la modificazione della soggettività tributaria delle imprese che aderiscono all’accordo, né l’attribuzione di soggettività tributaria alla rete risultante dal contratto stesso[9]. Alla rete contratto può, in ogni caso, essere attribuito un proprio Codice Fiscale, in considerazione del fatto che l’iscrizione all’Anagrafe tributaria è consentita anche alle organizzazioni di persone e di beni prive di personalità giuridica (cfr. la Ris. n. 70/E del 30 giugno 2011).
I grandi benefici legati alla disposizione in esame e l’assenza di regole specifiche per la sua concreta applicazione hanno generato non poca diffidenza fra gli operatori del settore agricolo fino a quando i caratteri distintivi della “rete agricola” sono stati declinati dal Ministro delle politiche agricole (MIPAAF) e dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 75/E del 21/6/2017.
Requisiti soggettivi
Dal punto di vista soggettivo per poter costituire un contratto di rete in ambito agricolo, è necessario che tutti i partecipanti siano imprese agricole singole o associate di cui all’art 2135 c.c. [10]. Inoltre, tali imprese devono rientrare nella categoria delle piccole e medie imprese (PMI), secondo i criteri stabiliti dal Regolamento (CE) n. 800/2008. Questo significa che possono aderire alla rete solo le aziende che impiegano meno di 250 dipendenti e che rispettano determinati limiti economici: un fatturato annuo massimo di 50 milioni di euro o, in alternativa, un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro.
Requisiti oggettivi
Per quanto riguarda l’ambito oggettivo del contratto di rete in agricoltura, l’Agenzia richiama i principi generali che informano il contratto di rete e precisa che tale disciplina si applica nei casi in cui le imprese agricole condividano fattori produttivi – quali attrezzature, know-how e risorse umane – con l’obiettivo comune, dichiarato nel contratto, di realizzare una produzione agricola che favorisca la crescita imprenditoriale delle aziende aderenti, incrementandone l’innovazione e la competitività.
A tal fine, il contratto di rete deve disciplinare in modo chiaro e dettagliato:
- gli obiettivi di innovazione e di incremento della competitività, specificando anche i criteri e le modalità concordate per monitorare i progressi verso tali obiettivi;
- gli obiettivi specifici, che costituiscono il presupposto per individuare le attività necessarie al conseguimento degli obiettivi generali;
- il programma di rete, contenente la definizione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, nonché le modalità operative per il perseguimento dello scopo comune;
- le modalità di ripartizione del prodotto agricolo ottenuto, regolando la suddivisione tra i retisti.
Tuttavia, l’Agenzia evidenzia come la normativa non preveda in modo automatico l’attribuzione del prodotto ottenuto a titolo originario ai partecipanti alla rete, lasciando tale scelta alla loro discrezionalità. Pertanto, affinché un contratto di rete possa rientrare nell’ambito applicativo dell’articolo 1-bis, comma 3, del D.L. n. 91/2014, è necessario che il programma di rete sia esplicitamente finalizzato alla produzione agricola primaria comune e alla ripartizione del prodotto a titolo originario.
A tal proposito l’allora Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF) ha chiarito che affinché si possa parlare di ripartizione del prodotto a titolo originario è comunque necessario che tutti i retisti partecipino all’attività agricola primaria e che dal programma di rete non deve emergere un assetto dei rapporti tale da escludere la pariteticità tra gli imprenditori partecipanti, in termini sia di obbiettivi, sia di posizioni nell’assetto produttivo. In buona sostanza, affinché si possa giungere all’obbiettivo della ripartizione del prodotto a titolo originario è necessario che i retisti facciano parte del medesimo comparto produttivo (ad esempio, produzione ortofrutticola, lattiero/casearia, vitivinicola ecc..) e che ognuno di essi partecipi direttamente alla produzione primaria, dovendosi escludere che il programma di rete contempli anche una funzione di scambio dei prodotti agricoli fra i singoli retisti.
Alla luce dei chiarimenti forniti dal MIPAAF l’Agenzia delle Entrate ha delineato una serie di requisiti essenziali al fine di ottenere la ripartizione del prodotto a titolo originario:
- Attività agricola primaria e complementarietà
Tutti i partecipanti alla rete devono svolgere attività agricole di base. Eventuali attività connesse devono essere accessorie, non prevalenti e strettamente complementari alla produzione agricola principale. Ad esempio, la rete non sarà ammissibile se include produttori di uva e uno di essi si occupa esclusivamente della trasformazione.
- Messa in comune dei terreni
È obbligatorio conferire in rete i terreni in modo significativo per tutti i partecipanti, garantendo un’effettiva integrazione delle risorse fondiarie.
- Partecipazione equa e condivisione delle risorse
Il conseguimento dell’obiettivo comune deve avvenire attraverso contributi equivalenti in termini di produzione della stessa tipologia di prodotto. La condivisione delle risorse umane e tecniche deve essere proporzionata alla capacità produttiva del terreno messo in comune. Inoltre, è vietata la monetizzazione delle spettanze.
- Ripartizione della produzione
La divisione dei prodotti tra i partecipanti deve avvenire in modo proporzionato al valore del contributo apportato da ciascuno alla realizzazione del prodotto comune.
- Divieto di cessione interna dei prodotti
I prodotti suddivisi tra i membri della rete non possono essere successivamente ceduti fra i retisti stessi, poiché la finalità della rete è esclusivamente produttiva.
Solo nel caso in cui siano rispettate tutte le condizioni sopra descritte, la ripartizione della produzione agricola tra i partecipanti alla rete può essere considerata effettuata a titolo originario. In particolare, dal punto di vista fiscale tale operazione non è considerata un trasferimento di beni tra le imprese aderenti. Questo perché si configura come una divisione in natura dei prodotti, effettuata a titolo originario e secondo le quote stabilite nel contratto di rete. Di conseguenza, anche le operazioni compiute per realizzare la produzione agricola condivisa non assumono rilevanza ai fini dell’IVA, poiché rientrano nell’ambito della gestione interna della rete senza generare effetti traslativi tra le imprese.
Ai fini dell’imposta sul reddito la “rete agricola” deve essere considerata tra i casi di conduzione associata prevista dall’art. 33, comma 2, del TUIR[11]. Ne consegue che ciascun retista deve dichiarare la propria quota di reddito agrario, ottenuta sommando i redditi agrari di tutti i terreni conferiti all’attività di rete e moltiplicando tale somma per la percentuale di partecipazione.
Come già accennato in precedenza, una volta avvenuta la divisione dei prodotti a titolo originario, ciascun retista, se soggetto al regime speciale di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72, potrà continuare ad applicare le percentuali di compensazione previste per la cessione a terzi dei propri prodotti. Questo vale, ovviamente, a condizione che i beni ceduti rientrino tra quelli elencati nella Tabella A, parte I, allegata allo stesso D.P.R. n. 633 del 1972.
L’assenza di soggettività giuridica e il mandato con o senza rappresentanza
Nelle reti contratto ciascuna delle imprese retiste mantiene la propria soggettività giuridica e fiscale, pertanto i rapporti tra le singole imprese aderenti alla rete e l’organo comune o l’impresa capofila, rientrano nello schema del mandato, che può essere conferito con o senza rappresentanza.
Se all’organo comune agisca come mandatario con rappresentanza, gli atti posti in essere da parte del soggetto designato a svolgere il ruolo di organo comune producono effetti giuridici direttamente nelle sfere individuali dei singoli rappresentati. Con la spendita del nome del soggetto rappresentato, infatti, l’organo comune rende possibile la diretta imputazione delle operazioni compiute in capo ai singoli partecipanti.
Ai fini fiscali la diretta imputazione delle singole operazioni alle imprese retiste si traduce nel fatto che gli obblighi di fatturazione ricadranno direttamente sulle imprese retiste, così come queste ultime saranno le dirette destinatarie della fatturazione da parte dei soggetti terzi:
- per i beni acquistati ed i servizi ricevuti nell’esecuzione del programma di rete, il fornitore dovrà emettere tante fatture quanti sono i partecipanti alla rete rappresentati dall’organo comune. Ciascuna fattura dovrà imputare la quota di prezzo imputabile a ciascuna impresa partecipante alla rete.
- specularmente, per le vendite e le prestazioni di servizi effettuate dall’organo comune, ciascun partecipante deve emettere fattura al cliente per la quota parte del prezzo a sé imputabile.
Nel caso in cui l’organo comune o l’impresa capofila operino in qualità di mandatari senza rappresentanza, gli atti compiuti da questi soggetti non producono effetti giuridici diretti sulle altre imprese aderenti al contratto di rete.
In questa ipotesi, l’organo comune è tenuto a possedere una partita IVA, in quanto deve necessariamente operare sia in qualità di soggetto che emette fatture nei confronti dei clienti, sia come destinatario delle fatture emesse dai fornitori. Successivamente, sarà suo compito procedere alla ripartizione degli incassi o delle spese sostenute tra le singole imprese aderenti alla rete, in base alle rispettive quote di competenza.
È importante considerare che, qualora il ruolo di impresa capofila sia assunto da un soggetto operante in regime speciale IVA, essa dovrà gestire separatamente, dal punto di vista contabile, le operazioni riferibili alla rete di impresa. Ciò si rende necessario in quanto tali operazioni non possono beneficiare del regime di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72, ma devono essere trattate secondo le regole del regime ordinario IVA.
[1] Art. 3, comma 4-ter del D.L. n.5 del 2009: “Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. Il contratto può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. …”.
[2] Articolo 1-bis, comma 3, del D.L. n. 91 del 24 giugno 2014 : “Per le imprese agricole, definite come piccole e medie ai sensi del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008, nei contratti di rete, di cui all’art. 3 comma 4-ter, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, e successive modificazioni, formati da imprese agricole singole ed associate, la produzione agricola derivante dall’esercizio in comune delle attività, secondo il programma comune di rete, può essere divisa fra i contraenti in natura con l’attribuzione a ciascuno, a titolo originario, della quota di prodotto convenuta nel contratto di rete.”
[3] Nonostante la “commercializzazione” venga annoverata fra le attività agricole connesse di cui al terzo comma dell’art. 2135 del Codice Civile.
[4] La definizione di “esercizio esclusivo dell’attività agricola” è desumibile dal secondo periodo dell’art. 2 del D.Lgs. 99/2004, in base al quale: “Non costituiscono distrazione dall’esercizio esclusivo delle attività agricole la locazione, il comodato e l’affitto di fabbricati ad uso abitativo, nonché’ di terreni e di fabbricati ad uso strumentale alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del c.c., sempreché’ i ricavi derivanti dalla locazione o dall’affitto siano marginali rispetto a quelli derivanti dall’esercizio dell’attività agricola esercitata. Il requisito della marginalità si considera soddisfatto qualora l’ammontare dei ricavi relativi alle locazioni e affitto dei beni non superi il 10 per cento dell’ammontare dei ricavi complessivi. Resta fermo l’assoggettamento di tali ricavi a tassazione in base alle regole del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.”.
[5] Per la definizione di IAP e di società agricola IAP si veda il D.Lgs. 99/2004.
[6] Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1, comma 1093, legge n. 296/2006, le società di persone, le società a responsabilità limitata e le società cooperative che rivestono la qualifica di società agricola possono optare per la tassazione su base catastale in alternativa al regime analitico del reddito d’impresa.
[7] Agenzia delle Entrate, Circolare 44/E del 2004.
[8] In presenza di un regolare contratto di rete agricolo regolare si può assumere come implicitamente rispettato il requisito soggettivo per l’applicazione dell’art. 34 del D.P.R. 633/72, mentre per quanto concerne il requisito oggettivo occorrerà verificare se i prodotti oggetto di cessione rientrano nell’elenco di cui alla Tabella A del D.P.R. 633/72.
[9] Agenzia delle Entrate, Circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011.
[10] Al contratto di rete agricolo possono dunque partecipare gli imprenditori agricoli che svolgono la loro attività sia in forma individuale che in forma collettiva (società di persone, società di capitali, cooperative, ecc..)
[11] Art. 33, comma 2 del TUIR: “Nei casi di conduzione associata, salvo il disposto dell’articolo 5, il reddito agrario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun associato per la quota di sua spettanza. Il possessore del terreno o l’affittuario deve allegare alla dichiarazione dei redditi un atto sottoscritto da tutti gli associati dal quale risultino la quota del reddito agrario spettante a ciascuno e la decorrenza del contratto. Mancando la sottoscrizione anche di un solo associato o l’indicazione della ripartizione del reddito si presume che questo sia ripartito in parti uguali”.