SOCIETÀ AGRICOLE: L’ADOZIONE DI UN TAX CONTROL FRAMEWORK EFFICACE

di Vanni Fusconi, Pasquale Formica - Pubblicato sulla Rivista n. 02 2025 di ConsulenzaAgricola.it

Premesse

Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento di interesse per tematiche attinenti alla gestione e al monitoraggio dei rischi fiscali in azienda, i quali possono costituire fattori altamente critici per la stessa continuità operativa di un’impresa.

Il c.d. regime di adempimento collaborativo di cui al D.Lgs. n. 128 del 2015, significativamente implementato dalla recente riforma fiscale del 2023, attraverso il D.Lgs. n. 221 del 2023 e il D.Lgs. n. 108 del 2024, rappresenta un’importante risposta normativa in tal senso, in quanto fonda le proprie radici sull’adozione, da parte dell’azienda che intende aderirvi, di un efficace sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali che si adatti alle peculiarità del settore economico in cui opera l’azienda stessa (il c.d. tax control framework).

Anche il settore agricolo, pur radicato nella tradizione, si confronta oggi con dinamiche fiscali complesse che richiedono un approccio sistematico e mirato. Le società agricole, in particolare, devono fronteggiare rischi tributari specifici legati alle caratteristiche delle attività esercitate; rischi che, se non adeguatamente gestiti, possono compromettere benefici fiscali, contributivi e la stessa sostenibilità prospettica dell’impresa.

Un punto critico, ad esempio, è il rispetto del requisito di esclusività delle attività agricole, definito dall’articolo 2135 del Codice Civile, la cui violazione può comportare rilevanti conseguenze anche fiscali, come la perdita del diritto a determinare il reddito su base catastale. Allo stesso modo, lo svolgimento di attività connesse (la trasformazione, la manipolazione, la conservazione, la commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli) e di servizi per conto terzi, richiedono procedure in grado di attuare un controllo rigoroso per garantire la conformità ai requisiti normativi spesso di complessa individuazione e gestione.

Non si tratta solo di adempiere agli obblighi normativi, ma di adottare un approccio preventivo e strutturato che permetta alle società agricole di operare in sicurezza e con maggiore efficienza.

In questo senso, allora, una valida occasione per fronteggiare tali criticità può essere rappresentata, anche per le società agricole, dall’adozione di un efficace tax control framework.

Obiettivo del presente articolo è quello di mettere in rassegna i principali rischi fiscali specifici delle società agricole, per poi provare a tracciare una prima analisi utile a comprendere l’effettiva opportunità che l’adozione di un efficace tax control framework può rappresentare per costituire, anche nel mondo agricolo, imprese più resilienti e competitive.

La definizione di società agricole

Affinché una società possa assumere la qualifica di “società agricola” devono ricorrere entrambi i seguenti requisiti:

  • la ragione sociale o la denominazione sociale deve contenere l’espressa indicazione di “società agricola”;
  • la società deve avere per oggetto l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135, Codice Civile.

Ai sensi dell’art. 2135, Codice Civile, è imprenditore agricolo colui che esercita una delle seguenti attività:

  • coltivazione del fondo;
  • selvicoltura;
  • allevamento di animali;
  • attività connesse.

Tra le attività connesse rientrano tutte le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o di riserve dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola principale, comprese le attività di valorizzazione del territorio e del suo patrimonio rurale o forestale, nonché di ricezione ed ospitalità.

La qualifica di “società agricola” consente l’accesso a importanti benefici di carattere fiscale, nonché previdenziale e assistenziale. In particolare, sotto il profilo fiscale, l’art. 1, comma 1093, Legge n. 296/2006, prevede che le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice, le società a responsabilità limitata e le società cooperative, in possesso dei requisiti di società agricola, possano optare per la determinazione del reddito su base catastale, secondo le regole di cui all’art. 32, TUIR.

Da tale opportunità restano invece escluse le società per azioni e le società in accomandita per azioni agricole, per le quali opera, comunque, l’ordinario sistema di tassazione in base ai dati di bilancio.

Le società agricole IAP

Al fine di accedere alle agevolazioni in materia di imposta di registro, ipotecaria e catastale, nonché a quelle in materia creditizia, le società agricole possono anche assumere la qualifica di IAP (imprenditore agricolo professionale).

In particolare, l’art. 2, comma 4, D.Lgs. n. 99/2004, prevede che alle società agricole qualificate come “imprenditori agricoli professionali”, siano riconosciute le medesime agevolazioni tributarie previste dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto.

Tra queste assume particolare rilievo la possibilità, riservata ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti nella relativa gestione previdenziale e assistenziale, comprese le società agricole IAP, di acquistare terreni agricoli pagando solo l’imposta catastale nella misura dell’1% del prezzo di compravendita, nonché di corrispondere l’imposta di registro e l’imposta ipotecaria in misura fissa, anziché in percentuale.

Al fine di ottenere la qualifica di imprenditore agricolo professionale, le società agricole devono rispettare i seguenti requisiti:

  • nel caso di società di persone, almeno un socio deve essere in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari);
  • nel caso di società di capitali, almeno un amministratore deve essere in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale che, per le cooperative, deve essere anche socio.

Il requisito dell’esercizio esclusivo

Come sopra anticipato, la determinazione del reddito su base catastale e la fruizione dei benefici in materia di imposizione indiretta e contributivi richiede il rispetto del requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135, Codice Civile.

Sul punto, nella Circolare n. 50/E/2010, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che l’esercizio delle suddette attività deve essere verificato dal punto di vista sostanziale, senza limitarsi alla mera disamina formale del solo oggetto sociale.

Nel medesimo documento di prassi, l’Amministrazione finanziaria ha ulteriormente precisato come il requisito della “esclusività” viene meno in caso di possesso di partecipazioni in altre società, salvo che sussistano, contestualmente, le seguenti condizioni:

  • la partecipata sia anch’essa una società agricola che, pertanto, svolge esclusivamente le attività di cui all’art. 2135 c.c.;
  • i dividendi derivanti dal possesso di tali partecipazioni siano inferiori ai ricavi derivanti dallo svolgimento delle attività agricole svolte direttamente dalla società partecipante.

Le indicazioni espresse dall’Agenzia delle Entrate non sono state condivise dalla dottrina maggioritaria, secondo cui il tenore letterale della norma limita la perdita del requisito dell’“esercizio esclusivo” alle sole ipotesi in cui venga compromessa l’esclusività dell’attività agricola attraverso l’esercizio di un’altra attività, avente natura extra agricola.

Tale dibattuta questione è stata peraltro ulteriormente complicata a seguito dell’introduzione, ad opera dell’art. 36, comma 8, D.L. n. 179/2012, del secondo periodo di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 99/2004, ai sensi del quale:

Non costituiscono distrazione dall’esercizio esclusivo delle attività agricole la locazione, il comodato e l’affitto di fabbricati ad uso abitativo, nonché di terreni e di fabbricati ad uso strumentale alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del c.c., sempreché i ricavi derivanti dalla locazione o dall’affitto siano marginali rispetto a quelli derivanti dall’esercizio dell’attività agricola esercitata. Il requisito della marginalità si considera soddisfatto qualora l’ammontare dei ricavi relativi alle locazioni e affitto dei beni non superi il 10 per cento dell’ammontare dei ricavi complessivi. Resta fermo l’assoggettamento di tali ricavi a tassazione in base alle regole del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.”

Secondo l’interpretazione resa dall’Amministrazione finanziaria e da parte della giurisprudenza di merito, tale norma dovrebbe legittimare, quali attività meramente occasionali che non determinano la perdita del requisito dell’esclusività, le sole attività di locazione o affitto che producono ricavi non superiori al 10% dei ricavi complessivi.

Tale restrittivo orientamento, tuttavia, si pone in contrasto rispetto a quanto indicato dalla Relazione illustrativa al D.L. n. 179/2012, secondo cui la ratio di tale norma è invece proprio quella di riconciliare il principio dell’esercizio esclusivo dell’attività agricola con la possibilità di compiere atti che, pur essendo di natura economica, abbiano carattere meramente occasionale o marginale.

Si è dunque in attesa di un chiarimento della giurisprudenza di legittimità, volto a definire, una volta per tutte, le attività marginali che non precludono l’esercizio dell’attività agricola e la fruizione dei relativi benefici.

In ogni caso, i dubbi interpretativi legati all’applicazione dell’art. 2, D.Lgs. n. 99/2004, impongono alle società agricole di prestare la massima attenzione al rispetto del requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. al fine di non perdere i benefici legati all’opzione per la determinazione del reddito su base catastale o alla qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale.

Il parametro della prevalenza per le attività agricole connesse

Un ulteriore rischio fiscale da presidiare è costituito dal rispetto del parametro della prevalenza delle attività agricole rispetto alle cosiddette attività agricole connesse.

Qualora la società agricola svolga esclusivamente le attività agricole principali di coltivazione, allevamento e silvicoltura di cui al comma 1 dell’art. 2135, Codice Civile, non sorgono particolari criticità circa la salvaguardia del requisito dell’esercizio esclusivo. Maggiore attenzione, invece, deve essere prestata qualora la società agricola svolga anche le cosiddette attività agricole connesse, poiché al fine di comprendere l’effettivo perimetro della sopra richiamata disposizione civilistica, occorre considerare anche l’interpretazione della norma elaborata in ambito fiscale.

Infatti, l’art. 2, comma 6, lett. a), Legge n. 350/2003, ha riformulato l’art. 32, comma 2, lett. c), TUIR, ricomprendendo nel regime dei redditi agrari stimati catastalmente, le (sole) attività aventi ad oggetto la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di determinati prodotti agricoli, tassativamente indicati dal D.M. 13 febbraio 2015 del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ottenuti dall’imprenditore agricolo prevalentemente dalla coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali.

Come precisato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 44/E/2004, le attività connesse a quella agricola principale non possono prescindere da una sostanziale “manipolazione” o “trasformazione” dei prodotti agricoli.

In relazione a tali definizioni è poi possibile far riferimento alle precisazioni fornite dal Ministero dell’Economia nella Circolare n. 351690/1955, secondo cui:

  • un prodotto può considerarsi manipolato quando, stante le lavorazioni subite, conserva le sue qualità merceologiche originali (ad esempio, la cernita, l’essiccamento e l’imbottamento delle foglie di tabacco);
  • l’attività di trasformazione è qualificabile, invece, come un procedimento industriale attraverso il quale da un determinato prodotto ne si ricava un altro, merceologicamente diverso (il prodotto derivante dalla trasformazione, in particolare, deve avere un diverso codice doganale rispetto a quello originario).

Sul punto si è espressa anche la Corte di Cassazione che, con la Sentenza n. 8128/2016, ha chiarito che: “(…) in merito è opportuno evidenziare che si ha trasformazione quando il prodotto originario, per effetto della lavorazione, viene a perdere i caratteri merceologici che lo distinguono (ad esempio nel caso dei cereali utilizzati per produrre farine o delle olive con cui viene prodotto l’olio). Si ha, invece, manipolazione quando il prodotto, nonostante le lavorazioni subite, abbia conservato le sue qualità merceologiche originarie (ad esempio pulitura e confezionamento di verdure e frutta).

Dunque, al fine di mantenere la qualifica di “società agricola”, occorre rispettare i criteri interpretativi dell’art. 2135, Codice Civile, introdotti ai fini fiscali dalla prassi ministeriale e dalla giurisprudenza di legittimità.

Conseguentemente, possono rientrare nei limiti dell’art. 2135, Codice Civile, le attività dirette alla manipolazione e trasformazione dei prodotti agricoli, a condizione che derivino, in misura prevalente, dall’attività agricola principale.

I servizi in agricoltura

Anche l’esecuzione di servizi conto terzi in agricoltura può generare, a certe condizioni, l’insorgere di criticità fiscali. Infatti, ai sensi del comma 3 dell’art. 2135, Codice Civile, sono considerate attività agricole connesse le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata.

Dunque, il presupposto essenziale affinché i servizi in conto terzi possano mantenere la connessione con l’attività agricola principale, è costituito dal rispetto dei requisiti della “normalità” e della “prevalenza”.

Al fine di definire l’ambito applicativo della norma occorre aver riguardo all’interpretazione della stessa resa dall’Amministrazione finanziaria.

Con riferimento al requisito della “normalità”, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che lo stesso sussiste ogni qualvolta le attrezzature sono impiegate in modo sistematico e continuativo nello svolgimento dell’attività agricola principale, in modo tale che quest’ultima non perda il suo carattere di essenzialità.

Conseguentemente, al fine di rientrare fra le attività connesse, la fornitura di servizi da parte dell’imprenditore agricolo non deve assumere – per dimensione, organizzazione di capitali e risorse umane – la connotazione di attività principale: le attrezzature agricole, come pure le altre risorse dell’azienda, non devono essere impiegate nell’attività connessa in misura prevalente rispetto all’utilizzo operato nell’attività agricola di coltivazione del fondo, del bosco o di allevamento.

Particolare attenzione deve essere prestata qualora per i servizi in agricoltura vengano impiegate anche attrezzature non normalmente impiegate nell’esercizio dell’attività agricola principale. In tale ipotesi è, infatti, necessario verificare il requisito della prevalenza che, sulla base dei chiarimenti forniti dall’Amministrazione finanziaria, può considerarsi rispettato qualora il fatturato derivante dall’impiego delle attrezzature normalmente impiegate nell’attività agricola principale risulti superiore al fatturato ottenuto attraverso l’utilizzo delle “altre attrezzature”.

Occorre poi considerare l’interpretazione estremamente restrittiva resa dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare n. 44/E/2004, circa il concetto di “attività agricola esercitata”. In tale documento di prassi, in particolare, l’Amministrazione finanziaria ha lasciato intendere che le attrezzature utilizzate nei servizi in conto terzi devono essere quelle impiegate (esclusivamente) nell’attività agricola principale.

Da ciò ne consegue che, qualora i servizi vengano svolti con l’impiego di macchine utilizzate nell’ambito delle attività agricole connesse (si pensi, ad esempio, alla vinificazione in conto terzi), ci si potrebbe trovare innanzi a servizi aventi natura extra agricola, che potrebbero dunque compromettere il requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole.

Tale interpretazione, seppur da tenere necessariamente in considerazione, non pare pienamente condivisibile, poiché sembra “travalicare” il dettato normativo. Infatti, dal tenore letterale del comma 3 dell’art. 2135, Codice Civile, appare chiaro come il Legislatore, con la generica locuzione “attività agricola esercitata”, abbia inteso riferisi all’intera attività agricola svolta dall’imprenditore, necessariamente comprensiva anche delle attività agricole connesse.

In definitiva, se la ratio sottesa all’inserimento dei servizi tra le attività agricole connesse è quella di consentire all’imprenditore agricolo di sfruttare al meglio gli investimenti necessari per lo svolgimento della propria attività economica, non pare affatto corretto escludere dai servizi esercitabili per conto terzi le attrezzature volte a completare il ciclo della propria produzione agricola, pur sempre nel rispetto dei predetti requisiti della “normalità” e della “prevalenza”.

Il rischio fiscale per le società agricole

Come emerge dalle considerazioni sinora svolte, nel caso delle imprese agricole, ai cosiddetti rischi fiscali “ordinari” si “sommano” alcune specifiche fattispecie di particolare rilevanza (anche) sul piano tributario, che possono indurre alla identificazione di ulteriori e distinte fattispecie di rischio fiscale, tipicamente collegate allo svolgimento di attività agricole connesse e, in particolare, al rispetto:

  • del requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2, D.Lgs. n. 99/2004;
  • del parametro della “prevalenza” in relazione alle attività agricole connesse;
  • dei requisiti di “normalità” e “prevalenza” in relazione allo svolgimento di servizi ulteriori da parte delle imprese agricole.

La violazione del requisito previsto dall’art. 2, D.Lgs. n. 99/2004, determina la perdita della qualifica di “società agricola” e di tutti i benefici fiscali connessi. Il rischio fiscale si concretizza, innanzi tutto, nella perdita dell’opzione per la determinazione del reddito su base catastale (art. 1, comma 1093, Legge n. 296/2006), con conseguente rideterminazione dell’intero reddito “a costi e ricavi”, secondo le regole ordinarie del reddito di impresa.

Peraltro, la perdita della qualifica di “società agricola” determina vieppiù il venir meno delle agevolazioni collegate alla qualifica di imprenditore agricolo professionale, con il conseguente:

  • disconoscimento o decadenza dall’agevolazione PPC (piccola proprietà contadina) di cui all’art. 2, comma 4-bis, D.L. n. 194/2009;
  • disconoscimento dell’esenzione IMU che l’art. 1, comma 758, lett. a) Legge n. 160/2019, accorda ai terreni agricoli “posseduti e condotti” dalle società agricole di cui all’art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 99/2004;
  • disconoscimento della fictio iuris di cui all’art. 1, comma 741, lett. d), Legge n. 160/2019, in base al quale non sono considerate fabbricabili ai fini IMU (e, quindi, assoggettabili al regime fiscale dei terreni agricoli) le aree edificabili possedute e condotte dalle società agricole IAP sulle quali persiste l’utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l’esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all’allevamento di animali;
  • disconoscimento delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 4, Legge n. 36/2024, per le società agricole IAP costituite da giovani imprenditori di età inferiore a 41 anni, consistenti nell’applicazione di un’imposta sostitutiva sui redditi di impresa, relative addizionali e IRAP nella misura del 12,5%;
  • disconoscimento delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 7, Legge n. 36/2024, a favore delle società agricole IAP costituite da giovani imprenditori di età inferiore a 41 anni, consistenti nella riduzione del 40% dell’imposta di registro, delle imposte ipotecarie e catastali, ordinarie o ridotte, previste in caso di acquisto o permuta di terreni agricoli o loro pertinenze.

Allo stesso modo, il mancato rispetto del parametro della prevalenza di cui all’art. 2135, Codice Civile, può determinare la perdita dell’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 99/2004, con l’insorgere di tutte le problematiche fiscali evidenziate nei paragrafi precedenti.

Con riguardo al requisito della prevalenza, tuttavia, pare opportuno effettuare alcune precisazioni per quanto concerne le società semplici. Per tale tipologia societaria, infatti, può trovare applicazione la cosiddetta “franchigia” introdotta dalla Circolare n. 44/E/2004 dell’Agenzia delle Entrate.

In particolare, qualora non venga rispettata la condizione della prevalenza, occorre distinguere il caso in cui l’attività connessa abbia ad oggetto beni rientranti tra quelli elencati dal D.M. 13 febbraio 2015, dal caso in cui l’attività connessa riguardi beni diversi da questi ultimi.

Nella prima ipotesi può trovare applicazione la cosiddetta “franchigia” e, pertanto, possono essere ricompresi nel reddito agrario di cui all’art. 32, TUIR, i redditi derivanti dall’attività di trasformazione dei prodotti agricoli nei limiti del doppio delle quantità prodotte in proprio dall’imprenditore agricolo; invece, i redditi ottenuti dalla trasformazione delle quantità eccedenti, devono essere determinati analiticamente (art. 56, TUIR).

All’opposto, nella diversa ipotesi in cui l’attività di trasformazione o manipolazione riguardi beni che non rientrano tra quelli elencati dal citato decreto ministeriale, l’intero reddito prodotto costituisce reddito d’impresa da determinarsi analiticamente in base all’articolo 56, TUIR.

Il legislatore fiscale consente alle società semplici di eccedere il limite della prevalenza; tuttavia occorre interrogarsi sull’implicazione che tale superamento potrebbe avere sul rispetto del requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 99/2004. Del resto l’art. 2135 del Codice Civile appare chiaro nell’elevare il requisito della prevalenza a presupposto essenziale per la definizione di attività agricole connesse.

Con riguardo ai rischi collegati alla “normalità” e alla “prevalenza” nei servizi in agricoltura, si evidenzia che il mancato rispetto del disposto di cui al comma 3 dell’art. 2135, Codice Civile, può determinare, anche in questo caso, la perdita dell’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 99/2004, con il conseguente insorgere di tutti i rischi fiscali già precedentemente evidenziati.

In questa materia, peraltro, l’Agenzia delle Entrate non ha previsto alcuna “franchigia” a favore delle società semplici e, pertanto, qualora non siano rispettati i parametri di cui al comma 3 dell’art. 2135, Codice Civile, i redditi derivanti dai servizi in conto terzi devono essere determinati interamente in maniera analitica, in base all’art. 56, TUIR.

In tale ipotesi potrebbero poi sorgere ulteriori rischi fiscali collegati alla circostanza che alla società semplice è inibito l’esercizio di attività commerciali (art. 2249, Codice civile), con conseguente riqualificazione della società in società di fatto (S.n.c.) e disconoscimento del regime di tassazione su base catastale sull’intera attività svolta.

Considerazioni conclusive

Sulla base delle considerazioni sinora espresse emerge con chiarezza che, anche in ambito agricolo, possono generarsi degli specifici rischi tributari strettamente connessi con la tipologia di attività esercitata, che devono essere necessariamente “mappati” e presidiati.

Tra questi assume particolare rilievo la verifica circa il rispetto del requisito dell’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135, Codice Civile, la cui violazione può addirittura determinare, tra l’altro, la perdita degli effetti dell’opzione per la determinazione del reddito su base catastale, oltre ai benefici in materia di imposizione indiretta e a quelli contributivi.

Un ulteriore fattore di rischio da considerare è collegato, come detto, all’eventuale effettuazione delle cosiddette attività agricole connesse, ossia le attività di “manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione”.

Infatti, al fine di mantenere la qualifica di “società agricola” (ed eventualmente di IAP) appare necessario rispettare i criteri interpretativi dell’art. 2135, Codice Civile, introdotti ai fini fiscali dalla prassi ministeriale e dalla giurisprudenza di legittimità. Di conseguenza, possono rientrare nei limiti della norma civilistica le predette attività in relazione ai prodotti agricoli, a condizione che derivino, in misura prevalente, dall’attività agricola principale.

Anche questo potenziale fattore di rischio fiscale deve essere quindi necessariamente presidiato, al fine di evitare che il requisito della prevalenza venga non rispettato con il conseguente impatto sulle corrette modalità di determinazione delle imposte dovute.

Da ultimo, deve essere considerato il caso dello svolgimento di servizi per conto terzi e il potenziale impatto che tale fattispecie possa avere sulla corretta determinazione dell’obbligazione tributaria. In particolare, come in precedenza evidenziato, il presupposto essenziale affinché i servizi in conto terzi possano mantenere la connessione con l’attività agricola principale è costituito dal rispetto dei requisiti della “normalità” e della “prevalenza”.

In relazione al requisito della “normalità”, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che lo stesso sussiste ogni qual volta le attrezzature utilizzate per svolgere i servizi in conto terzi siano impiegate in modo sistematico e continuativo nello svolgimento dell’attività agricola principale, in modo tale che quest’ultima non perda il suo carattere di essenzialità.

Qualora il requisito della normalità sussista, il rischio di incorrere in violazioni fiscali non dovrebbe emergere. Diversamente, laddove non tutte le attrezzature utilizzate per svolgere servizi per conto terzi siano da considerare impiegate in modo sistematico e continuativo nello svolgimento dell’attività agricola principale, occorrerà svolgere una analisi articolata e approfondita.

Un tax control framework efficace per le imprese agricole dovrà quindi “mappare” e presidiare anche i sopraindicati rischi ed individuare, quindi, tutte quelle procedure utili ad evitare che si attuino comportamenti suscettibili di determinare conseguenze negative di ordine tributario sull’impresa.

Occorre poi considerare che le linee guida emanate dall’Agenzia delle Entrate, ed i rischi in esse considerati, rappresentano “soltanto” una sorta di minimo comune denominatore valido pressoché per tutti i contribuenti, da arricchire e personalizzare in ragione dello specifico contesto in cui si opera.

Le società agricole, per le quali sussistono specifici rischi da sorvegliare, dovranno quindi costruire presidi ad hoc e articolare dettagliate procedure da osservare, collegati allo svolgimento dell’attività agricola.

In conclusione, si evidenzia che in materia di fiscalità agricola sussistono anche dubbi interpretativi legati all’operatività quotidiana, non essendo sempre del tutto chiaro il quadro normativo e applicativo di riferimento. Il settore agricolo, infatti, è in continua evoluzione quanto a modalità produttive e a schemi organizzativi e questo porta (e porterà) a continui dubbi circa la corretta applicazione delle norme di riferimento.

Nonostante la Riforma fiscale abbia affrontato e risolto molte criticità, la continua evoluzione del settore agricolo ne farà emergere ulteriori, tanto da rendere indispensabile la continua implementazione di un efficace tax control framework nelle imprese agricole.

Il ricorso a tale strumento non consentirà soltanto di gestire meglio e con maggiore sicurezza la “variabile fiscale” (mediante, ad esempio, l’utilizzo dello strumento dell’interpello), evitando potenziali effetti dirompenti sull’operatività futura, ma risponderà anche all’esigenza di modernizzare la realtà produttiva, rendendola più appetibile per i mercati finanziari e più capace di competere nell’attuale complesso contesto globale.