I RIFLESSI DEL REGIME SPECIALE IVA SULLA DETERMINAZIONE DEL REDDITO

I principi generali del regime speciale IVA in agricoltura adottato in Italia trovano le loro origini nell’articolo 25 della Direttiva comunitaria n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977 e, successivamente, nella Direttiva comunitaria 2006/112/CE del 28 novembre 2006, nella quale gli articoli da 295 a 305 contengono la disciplina relativa al “Regime comune forfetario per i produttori agricoli”.

La normativa comunitaria, come indicato all’articolo 296, consente agli Stati membri di applicare ai produttori agricoli, per i quali l’assoggettamento al regime normale dell’IVA potrebbe creare difficoltà amministrative, “un regime forfetario inteso a compensare l’onere dell’IVA pagata sugli acquisti di beni e servizi”.

Pertanto, in conformità alle disposizioni comunitarie, nel nostro ordinamento l’imposta sul valore aggiunto   per le imprese agricole è disciplinata dagli articoli 34 e 34-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modifiche ed integrazioni. L’attuale assetto normativo decorre dall’anno 1998 con l’applicazione del D.Lgs. n.313 del 2 settembre 1997. 

Lasciando ad uno specifico approfondimento la tematica relativa ai servizi in agricoltura (art. 34 bis del D.P.R. 633/72) ci occuperemo in questa sede dell’applicazione del regime speciale IVA nell’ambito delle cessioni di beni e alle ripercussioni che l’applicazione delle percentuali di compensazioni può avere ai fini delle imposte dirette anche alla luce di una recentissima sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Forlì.

IL REGIME SPECIALE PER LE IMPRESE AGRICOLE

Il regime speciale IVA, disciplinato dall’art. 34 del D.P.R. 633/72, rappresenta un regime di detrazione forfetaria e non anche di applicazione dell’imposta come era in passato. Infatti, dal 1° gennaio 1998 le cessioni di beni poste in essere da produttori agricoli sono soggette ad aliquota ordinaria, mentre la detrazione dell’IVA è forfetizzata in misura pari alle percentuali di compensazione.

L’applicazione del regime speciale di detrazione, mediante le percentuali di compensazione, è condizionata dall’esistenza di due presupposti:

  • Presupposto oggettivo: la detrazione forfetizzata può essere operata esclusivamente per le cessioni dei prodotti agricoli ed ittici compresi nella prima parte della tabella A allegata al D.P.R. n. 633/72.
  • Presupposto soggettivo: sono ammessi al regime speciale i produttori agricoli che esercitano le attività di cui all’articolo 2135 del codice civile, e, cioè, le attività di coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento di animali, ed attività connesse (trasformazione o manipolazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali).

L’applicazione del regime speciale di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72 (regime naturale per le cessioni di prodotti agricoli e ittici indicati nella Tabella A, parte prima, effettuate dai produttori agricoli) fa sì che la detrazione prevista nell’art. 19 del decreto IVA sia forfettizzata in misura pari all’importo risultante dall’applicazione delle percentuali di compensazione stabilite da un apposito decreto emanato dal Ministro delle finanze di concerto con il Ministro per le politiche agricole. Se la detrazione è forfetizzata significa che l’IVA assolta sugli acquisti non è detraibile analiticamente.

Alla luce della disposizione sopra riportata, i produttori agricoli che rientrano nel regime speciale IVA devono:

  • all’atto della vendita dei prodotti agricoli espressamente indicati nella Tabella A, parte prima, applicare le aliquote ordinarie previste per le cessioni di tali prodotti agricoli e ittici;
  • all’atto della determinazione dell’imposta, in sede di liquidazione periodica e di dichiarazione annuale, detrarre un importo corrispondente alle “percentuali di compensazione” calcolate sulle vendite degli stessi prodotti agricoli.    

Il regime speciale prevede, in sostanza, una finzione giuridica, in base alla quale la detrazione dell’IVA – che per la generalità dei contribuenti corrisponde all’imposta assolta sugli acquisti – è pari al valore corrispondente all’applicazione, all’ammontare imponibile delle cessioni di beni, delle percentuali di compensazione stabilite per gruppi di prodotti con il citato decreto interministeriale.

A titolo esemplificativo l’applicazione della detrazione forfettaria può essere così sintetizzata:

Cessione di uova di pollame per Euro 100.000

Iva applicata in fattura con aliquota del 10%.     Euro……..10.000

Iva detraibile in base alla percentuale di compensazione del 8,80%.      Euro………..8.800

Iva dovuta.       Euro….……1.200

A fine anno il criterio di detrazione forfettaria dell’imposta di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/72, può generare a conto economico un ricavo oppure un costo.

QUANDO IL REGIME SPECIALE GENERA UNA RENDITA IVA

Se l’IVA effettivamente assolta sugli acquisti è inferiore a quella corrispondente alle percentuali di compensazione, la differenza viene trattenuta dal produttore agricolo e si traduce in un ulteriore incasso, oltre al prezzo di vendita.

Supponiamo, ad esempio, che un avicoltore in regime speciale IVA venda uova alla GDO per 100.000 Euro; in questo caso, sulle vendite verrà applicata l’IVA per un importo di 10.000 Euro (aliquota al 10%). Il regime speciale consente all’agricoltore di trattenere una parte dell’IVA incassata sulle vendite, pari ad Euro 8.800 (8,80% – percentuale di compensazione); conseguentemente, dovrà versare all’erario 1.200 Euro (1,2%).

Supponiamo, a questo punto, che l’IVA versata per l’acquisto dei prodotti inerenti all’allevamento sia pari ad Euro 4.000 (aliquota IVA al 4% per l’acquisto di mangime); in questo caso, in capo all’allevatore si genererà una rendita fiscale pari a 4.800 Euro:

  • € 10.000 (IVA a debito) – € 1.200 (IVA versata a seguito dell’applicazione % compensazione) – € 4.000 (IVA a credito assolta sull’acquisto di mangime) = € 4.800 (Rendita IVA).

La rendita IVA maturata nell’anno dovrà essere iscritta a bilancio alla voce “altri componenti positivi di reddito” e sarà assoggettata a tassazione.

QUANDO IL REGIME SPECIALE GENERA UN COSTO

Qualora l’Iva assolta sugli acquisti risulti, invece, superiore a quella corrispondente alle percentuali di compensazione, il produttore agricolo viene inciso dall’imposta.

Tornando all’esempio analizzato precedentemente, supponiamo che l’avicoltore durante l’anno, oltre al mangime per le galline, effettui acquisti straordinari, ad esempio di gabbie per l’allevamento, per l’importo di Euro 100.000 Euro con IVA al 22%.

In questa ipotesi l’IVA a credito assolta sugli acquisti è di gran lunga superiore a quella che può essere portata in detrazione per mezzo dell’applicazione delle percentuali di compensazione:

  • € 10.000 (IVA a debito) – € 1.200 (IVA versata a seguito dell’applicazione % compensazione) – € 4.000 (IVA a credito assolta sull’acquisto di mangime) – € 22.000 (IVA a credito assolta sull’acquisto delle gabbie) = 17.200 (Costo IVA).

Nel caso in esame il regime speciale IVA diventa estremamente sconveniente per l’agricoltore, visto che l’applicazione dell’art. 34 non ammette il rimborso della maggior imposta versata e non portata in detrazione.

Come è noto, in tema di IVA vige il principio della neutralità; pertanto, qualora l’imposta pagata a monte non sia ammessa in detrazione e neppure richiesta a rimborso, sorge un onere che influisce sul risultato economico della gestione aziendale e ha i relativi effetti fiscali ai fini delle imposte dirette.

Principio di neutralità

In tema di IVA è la stessa direttiva comunitaria ad indicare che uno dei principi sul quale si fonda tale imposta è la neutralità per i soggetti economici.

Secondo quanto sancito anche dal diritto comunitario, l’IVA si configura come un’imposta generale sul consumo di beni e servizi che, attraverso il sistema delle rivalse e delle detrazioni, persegue l’obiettivo di operare un prelievo definitivo sul consumatore finale; per i soggetti passivi obbligati nei confronti dell’Erario (imprenditori o lavoratori autonomi), l’applicazione dell’imposta è, in via di principio, neutrale, atteso che l’IVA sulle operazioni attive è da essi trasferita sui clienti mediante la rivalsa, mentre l’imposta sulle operazioni passive (acquisti effettuati) è recuperata mediante detrazione dall’imposta dovuta, come credito, derivante da compensazione, vantato nei confronti dell’Erario. L’IVA corrisposta dai soggetti passivi è periodica e neutrale, giacché il tributo viene in definitiva a gravare sul consumatore finale, il quale – pur non essendo debitore verso l’Erario – subisce la rivalsa giuridica senza potere, a sua volta, detrarre l’imposta.
 
In un’ottica di semplificazione, la direttiva comunitaria n. 112/2006 (art. da 295 a 305), riconosce la possibilità agli Stati Membri di introdurre nella propria legislazione un regime forfetario a favore dei produttori agricoli.

Attualmente, nel regime speciale IVA riservato ai produttori agricoli dalla norma italiana, il principio della neutralità dovrebbe essere assicurato e giustificato dall’applicazione di percentuali di compensazione diversificate per gruppi di attività. Tale regime può, comunque, determinare degli “sbilanciamenti” che comportano conseguenze di natura contabile, civilistica e fiscale.

Aspetti contabili

Sotto il profilo contabile, la convivenza della contabilità con il regime speciale IVA determina la necessità di rilevare l’imposta indetraibile sugli acquisti e l’imposta a credito sulle cessioni dovuta all’applicazione delle percentuali di compensazione.

In particolare, è necessario fare una distinzione tra le operazioni in cui l’IVA indetraibile rappresenta un elemento accessorio del costo, rispetto e quelle che determinano l’insorgere di un costo generale.

Rientra nella prima casistica l’imposta relativa:

  • ad un bene o servizio acquistato od importato, con Iva oggettivamente indetraibile, ex art. 19-bis1 del D.P.R. n. 633/1972;
  • ad un bene o servizio acquistato od importato, utilizzato per effettuare un’operazione non soggetta o esente, per il quale l’IVA è indetraibile, ex art. 19, comma 4 e 19-bis, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972;
  • ad attività che danno luogo ad operazioni esenti ex art. 36-bis del decreto Iva, con Iva indetraibile derivante da «pro-rata», di cui agli artt. 19, comma 5, e 19/bis del citato decreto;

In tali ipotesi, l’imposta indetraibile costituisce un elemento di costo del bene o del servizio cui afferisce e, come tale, deve essere portata ad incremento del costo del bene o servizio stesso.

Qualora l’imposta sia relativa a costi capitalizzabili, concorrerà alla formazione del valore da assoggettare all’ammortamento.

Invece, nel caso in cui l’IVA indetraibile derivi dall’applicazione del “pro-rata” di detraibilità totale o parziale ai sensi dell’art. 19, comma 5 e art. 19-bis del D.P.R. n. 633/1972, il relativo onere, collegandosi per sua natura all’intera gestione e non ad una singola operazione di acquisto, rappresenta una spesa generale nell’esercizio di competenza.

In sostanza si possono riscontrare due ipotesi:

  • quando l’IVA è “oggettivamente” indetraibile essa rappresenta un onere accessorio (incrementale del costo);
  • quando l’IVA è “soggettivamente” indetraibile (come nel regime speciale agricolo), essa non partecipa alla formazione singolo costo ma rappresenta un onere generale.

Il Principio Contabile OIC n. 12 nella descrizione dei contenuti della voce di bilancio “B14) Oneri diversi di gestione” indica che l’IVA indetraibile va iscritta in questa voce se non costituisce costo accessorio di acquisto di beni o servizi.

Lo stesso criterio si ritiene applicabile anche alle cessioni per la quota di IVA corrispondente alle percentuali di compensazione. Pertanto, l’imposta trattenuta dall’impresa in regime speciale potrà essere rilevata alla voce “A5) Altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio”.

L’impresa poi avrà la facoltà di indicare nel conto economico le due voci distintamente ovvero riportare esclusivamente il relativo saldo.

La deducibilità dell’IVA ai fini delle imposte dirette

Al fine di individuare la corretta imputazione dell’IVA indetraibile ai fini della determinazione del reddito delle imprese occorre fare riferimento alla risoluzione del Ministero delle finanze n. 9/869 del 19/01/1980.

Tale documento di prassi, pur non riferendosi specificatamente all’applicazione del regime speciale IVA (come detto la prassi di riferimento è rappresentata dalla risoluzione n. 9/2055 del 20 settembre 1980) stabilisce quanto segue: il cosiddetto principio  della neutralità dell’imposta sul valore aggiunto ai fini della determinazione del reddito di esercizio è basato sulla totale detrazione dell’lVA assolta sugli acquisti da effettuarsi in sede di versamento dell’imposta imputata ai cessionari. In tale ottica, quindi, la relativa scrittura contabile è chiamata a registrare una variazione numeraria che non genera costi.

Ove, invece, l’imposta pagata a monte non possa, come nelle ipotesi innanzi elencate, essere totalmente o parzialmente dedotta da quella imputata ai cessionari e da versare, è di tutta evidenza l’insorgere di un onere che va ad influire sul risultato della gestione aziendale.

Tale onere, essendo sostenuto nell’esercizio della impresa e riferendosi ad attività ed operazioni da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa, ha ovviamente rilevanza in sede fiscale. Si tratta soltanto di stabilire come e quando esso deve essere dedotto con riguardo, in particolare per i casi in esame, al principio della “competenza” e a quello dell'”accessorietà'”, ossia alla possibilità o meno di imputare direttamente l’IVA non recuperabile o non recuperata al costo specifico di una merce, di un bene o di un servizio.

In buona sostanza, per sintetizzare l’orientamento espresso dal Ministero, si può affermare che l’IVA non ammessa in detrazione ha indubbiamente rilevanza fiscale e può costituire, a seconda delle fattispecie:

  • un onere accessorio di diretta imputazione al costo del bene o del servizio cui si riferisce e come tale deducibile ai sensi dell’art. 110 del Tuir;
  • un costo generale d’esercizio, deducibile ai sensi dell’art. 109 del Tuir.

Per i produttori agricoli che applicano il regime speciale, l’IVA assolta sugli acquisti non può essere capitalizzata in aggiunta al costo del bene, infatti ciò è possibile solo nell’ipotesi in cui ci si trovi al cospetto di un’ipotesi di IVA oggettivamente indetraibile o per i soggetti che effettuano esclusivamente operazioni esenti.

Nel caso in esame non siamo al cospetto di una indetraibilità oggettiva dell’imposta, ma come recita l’art. 34 del D.P.R. 633/72 “la detrazione prevista nell’art. 19 è forfettizzata in misura pari all’importo risultante dall’applicazione, all’ammontare imponibile delle operazioni stesse, delle percentuali di compensazione”.

In sostanza nel regime speciale agricolo l’IVA è detraibile (seppur forfettariamente), ma, a fine anno, una parte dell’IVA assolta sugli acquisti potrebbe risultare indetraibile.

In questa ipotesi l’onere deve confluire a conto economico, poiché deve essere considerato un costo generale che va dedotto ai sensi di quanto stabilito dall’art. 109 del TUIR.

I principi generali espressi nella risoluzione 9/869 sono stati recepiti con specifico riferimento al settore agricolo nella risoluzione n. 9/2055 del 20 settembre 1980 con cui il Ministero si è espresso in merito all’art. 34 del D.P.R. 602/73 e alla rilevanza fiscale delle le eventuali differenze emergenti tra l’ammontare dell’IVA riscossa per le cessioni effettuate e quello dell’IVA effettivamente pagata sugli acquisti.

Con il citato documento di prassi, il Ministero precisa quanto segue: il principio di irrilevanza dell’imposta sul valore aggiunto ai fini della determinazione del reddito d’ impresa si basa sulla totale compensazione dell’imposta addebitata ai cessionari di beni o di servizi con quella assolta sugli acquisti e con il versamento all’ Erario (o con il rimborso da parte di quest’ ultimo) della parte eccedente.

Sulla base della vigente normativa, tuttavia, tale compensazione può anche non verificarsi, come accade, ad esempio, per numerosi beni per i quali l’art. 19, secondo comma, del DPR n. 6331973 nega, salvo particolari condizioni, la detrazione dell’IVA assolta sui relativi acquisti.

Verificandosi la cennata ipotesi, infatti, e sempre che l’acquisto di quei beni sia stato effettuato nell’ esercizio dell’impresa, alla formazione del costo deducibile dal reddito da assoggettare all’ IRPEF o all’ IRPEG concorrerà anche l’imposta sul valore aggiunto assolta e rimasta “ope legis” a carico dell’impresa.

Ad analoghe conclusioni, quindi, si deve pervenire anche per quanto previsto dal citato art. 34 del DPR n. 6331973. In questo caso, la forfetizzazione dell’IVA detraibile, non escludendo in via assoluta per l’impresa di incamerare eccedenze attive o di addossarsi eccedenze passive d’ imposta (salva la prevista facoltà di optare per la detrazione dell’imposta secondo la regola generale), fa perdere all’ imposta stessa il carattere di neutralità per divenire un elemento rispettivamente di ricavo o di costo.

In conclusione, pur considerando che le modifiche apportate alla norma stessa rispetto alla originaria formulazione dovrebbero avere l’ effetto per i soggetti interessati di creare una corrispondenza tra l’ IVA pagata e quella riscossa, a conferma dell’ accennato criterio di irrilevanza fiscale dell’ imposta di cui trattasi, ciò nonostante, ove da una ordinata contabilità dovessero emergere delle differenze, le stesse, pur non influendo ai fini dell’ IVA, devono concorrere quali elementi positivi o negativi alla determinazione del reddito d’ impresa.

Va da sé che tale principio non può trovare applicazione nei confronti di quei soggetti la cui determinazione del reddito per le imposte dirette secondo la vigente normativa avviene su base catastale o con criteri di forfetizzazione.

L’orientamento del Ministero è estremamente chiaro: l’IVA che a fine anno risulta indetraibile in virtù dell’applicazione del regime speciale agricolo, deve essere imputata a costo e dedotta nell’anno.

In merito alle problematiche trattate nel presente approfondimento si è recentemente espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Forlì con la recente sentenza n. 105 del 9 aprile 2018.

Il collegio romagnolo si è pronunciato sulla legittimità di un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava ad una società agricola la deducibilità dell’IVA indetraibile maturata a seguito degli ingenti investimenti effettuati per l’ammodernamento dei capannoni adibiti all’allevamento avicolo in costanza dell’applicazione del regime speciale di cui all’art. 34 del D.P.R. 633/772.

Secondo l’Ufficio solo l’IVA risultante indetraibile da specifica normativa può costituire o un onere accessorio di diretta imputazione al costo del bene o del servizio cui si riferisce, deducibile ai sensi di quanto previsto dall’art. 110 del TUIR, ovvero un costo generale di esercizio, deducibile ai sensi dell’art. 109 del medesimo decreto. Nel caso di applicazione del regime speciale, invece, tale possibilità risulterebbe preclusa poiché ciò che determina l’indetraibilità dell’IVA non è né la natura del singolo bene acquistato né quella della specifica operazione di acquisto, bensì il particolare regime di detraibilità adottato che pur non consentendo la detrazione analitica dell’IVA assolta sugli acquisiti, prevede comunque la detrazione calcolata in via globale e forfettaria.

La Commissione di Forlì, dopo aver enunciato il principio della generale irrilevanza dell’IVA ai fini della determinazione del reddito dell’imprenditore, fondato sull’assunto della totale compensazione dell’imposta, del versamento di quella eccedente o del rimborso di quella non detratta, evidenzia come tale principio di carattere generale trovi nel nostro ordinamento deroghe precise, come avviene, ad esempio, per quanto concerne l’art. 19 comma 2 del D.P.R.  633/72.

Ebbene, è proprio da quest’ultima disposizione che i Giudici di Forlì muovono le proprie considerazioni al fine di respingere la tesi dell’Ufficio. Infatti, seguendo l’orientamento già espresso dal Ministero con la citata risoluzione n. 9/2055 del 1980, estendono al regime speciale IVA di cui all’ art. 34 del D.P.R. 633/72 i principi che in costanza dell’applicazione dell’art. 19 legittimano la deduzione dell’imposta rimasta ope legis a carico del contribuente.

Dalle motivazioni riportate nelle citata sentenza si evince come secondo il Collegio giudicante non possa essere escluso, a priori e in via assoluta, che il previsto regime della forfettizzazione non possa far venir meno la neutralità dell’imposta sul valore aggiunto nella misura nella quale l’impresa agricola abbia incamerato eccedenze attive, divenendo un elemento di ricavo, ovvero si sia addossata eccedenze passive d’imposta, divenendo, in tal caso, un costo d’esercizio d’impresa e dovendo concorrere quali elementi positivi o negativi alla determinazione del reddito di impresa.

L’assunto dell’Ufficio in base al quale l’applicazione del regime speciale precluderebbe in maniera aprioristica la deducibilità dell’IVA indetraibile appare dunque totalmente erroneo; pertanto, se l’Agenzia intende contestare la deducibilità dell’IVA indetraibile in costanza dell’applicazione del regime di cui all’art. 34 D.P.R. 633/72 dovrà necessariamente contestare l’inerenza del costo e potrà farlo esclusivamente nel caso in cui riesca a dimostrare l’IVA dedotta non è attinente all’acquisto dei beni inerenti all’attività agricola svolta.

1 – Refuso nella citazione: il riferimento è al D.P.R. n.633/1972